Trattato della pittura
di Leonardo Da Vinci
TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)
Primo volume
PARTE PRIMA
Capitoli da 1 a 40
1. Se la pittura è scienza o no.
Scienza è detto quel discorso mentale il quale ha origine da' suoi ultimi
principî, de' quali in natura null'altra cosa si può trovare che sia parte di
essa scienza, come nella quantità continua, cioè la scienza di geometria, la
quale, cominciando dalla superficie de' corpi, si trova avere origine nella
linea, termine di essa superficie; ed in questo non restiamo satisfatti, perché
noi conosciamo la linea aver termine nel punto, ed il punto esser quello del
quale null'altra cosa può esser minore. Adunque il punto è il primo principio
della geometria; e niuna altra cosa può essere né in natura, né in mente
umana, che possa dare principio al punto. Perché se tu dirai nel contatto
fatto sopra una superficie da un'ultima acuità della punta dello stile,
quello essere creazione del punto, questo non è vero; ma diremo questo tale
contatto essere una superficie che circonda il suo mezzo, ed in esso mezzo è
la residenza del punto, e tal punto non è della materia di essa superficie,
né lui, né tutti i punti dell'universo sono in potenza ancorché sieno uniti,
né, dato che si potessero unire, comporrebbero parte alcuna d'una superficie.
E dato che tu t'immaginassi un tutto essere composto da mille punti, qui
dividendo alcuna parte da essa quantità di mille, si può dire molto bene che
tal parte sia eguale al suo tutto. E questo si prova con lo zero ovver nulla,
cioè la decima figura dell'aritmetica, per la quale si figura un O per esso
nullo; il quale, posto dopo la unità, le farà dire dieci, e se ne porrai due
dopo tale unità, dirà cento, e così infinitamente crescerà sempre dieci volte
il numero dov'esso si aggiunge; e lui in sé non vale altro che nulla, e tutti
i nulli dell'universo sono eguali ad un sol nulla in quanto alla loro
sostanza e valore. Nessuna umana investigazione si può dimandare vera
scienza, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni; e se tu dirai
che le scienze, che principiano e finiscono nella mente, abbiano verità,
questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima, che in tali
discorsi mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé
certezza.
2. Esempio e differenza tra pittura e poesia.
Tal proporzione è dalla immaginazione all'effetto, qual è dall'ombra al corpo
ombroso, e la medesima proporzione è dalla poesia alla pittura, perché la
poesia pone le sue cose nella immaginazione di lettere, e la pittura le dà
realmente fuori dell'occhio, dal quale occhio riceve le similitudini, non
altrimenti che s'elle fossero naturali, e la poesia le dà senza essa
similitudine, e non passano all'impressiva per la via della virtù visiva come
la pittura.
3. Quale scienza è più utile, ed in che consiste la sua utilità.
Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile, e così
per contrario è meno utile quella ch'è meno comunicabile. La pittura ha il
suo fine comunicabile a tutte le generazioni dell'universo, perché il suo
fine è subietto della virtù visiva, e non passa per l'orecchio al senso
comune col medesimo modo che vi passa per il vedere. Adunque questa non ha
bisogno d'interpreti di diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha
satisfatto all'umana specie, non altrimenti che si facciano le cose prodotte
dalla natura. E non che alla specie umana, ma agli altri animali, come si è
manifestato in una pittura imitata da un padre di famiglia, alla quale facean
carezze i piccioli figliuoli, che ancora erano nelle fasce, e similmente il cane
e la gatta della medesima casa, ch'era cosa maravigliosa a considerare tale
spettacolo.
La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di natura,
che non fanno le parole o le lettere, ma le lettere rappresentano con più
verità le parole al senso, che non fa la pittura.
Ma dicemmo essere più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di
natura, che quella che rappresenta le opere dell'operatore, cioè le opere
degli uomini, che sono le parole, com'è la poesia, e simili, che passano per
la umana lingua.
4. Delle scienze imitabili, e come la pittura è inimitabile, però è scienza.
Le scienze che sono imitabili sono in tal modo, che con quelle il discepolo
si fa eguale all'autore, e similmente fa il suo frutto; queste sono utili
all'imitatore, ma non sono di tanta eccellenza, quanto sono quelle che non si
possono lasciare per eredità, come le altre sostanze. Infra le quali la
pittura è la prima; questa non s'insegna a chi natura nol concede, come fan
le matematiche, delle quali tanto ne piglia il discepolo, quanto il maestro
gliene legge. Questa non si copia, come si fa le lettere, che tanto vale la
copia quanto l'origine. Questa non s'impronta, come si fa la scultura, della
quale tal è la impressa qual è l'origine in quanto alla virtù dell'opera.
Questa non fa infiniti figliuoli come fa i libri stampati; questa sola si
resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e
non partorisce mai figliuoli eguali a sé. E tal singolarità la fa più
eccellente che quelle che per tutto sono pubblicate. Ora, non vediamo noi i
grandissimi re dell'Oriente andare velati e coperti, credendo diminuire la
fama loro col pubblicare e divulgare le loro presenze? Or, non si vede le
pitture rappresentatrici le immagini delle divine deità essere al continuo
tenute coperte con copriture di grandissimi prezzi? E quando si scoprono,
prima si fanno grandi solennità ecclesiastiche di varî canti con diversi
suoni. E nello scoprire, la gran moltitudine de' popoli che quivi concorrono,
immediate si gittano a terra, quelle adorando e pregando per cui tale pittura
è figurata, dell'acquisto della perduta sanità e della eterna salute, non
altrimenti che se tale idea fosse lí presente ed in vita.
Questo non accade in nessuna altra scienza od altra umana opera, e se tu
dirai questa non esser virtú del pittore, ma propria virtú della cosa
imitata, si risponderà che in questo caso la mente degli uomini può satisfare
standosi nel letto, e non andare, ne' luoghi faticosi e pericolosi, ne'
pellegrinaggi, come al continuo far si vede. Ma se pure tali pellegrinaggi al
continuo sono in essere, chi li muove senza necessità? Certo tu confesserai
essere tale simulacro, il quale far non può tutte le scritture che figurar
potessero in effigie e in virtú tale idea. Adunque pare ch'essa idea ami tal
pittura, ed ami chi l'ama e riverisce, e si diletti di essere adorata più in
quella che in altra figura di lei imitata, e per quella faccia grazie e doni
di salute, secondo il credere di quelli che in tal luogo concorrono.
5. Come la pittura abbraccia tutte le superficie de' corpi, ed in quelli si estende.
La pittura sol si estende nella superficie de' corpi, e la sua prospettiva si
estende nell'accrescimento e decrescimento de' corpi e de' lor colori; perché
la cosa che si rimuove dall'occhio perde tanto di grandezza e di colore
quanto ne acquista di remozione. Adunque la pittura è filosofia, perché la
filosofia tratta del moto aumentativo e diminutivo, il quale si trova nella
sopradetta proposizione; della quale faremo il converso, e diremo: la cosa
veduta dall'occhio acquista tanto di grandezza e notizia e colore, quanto
ella diminuisce lo spazio interposto infra essa e l'occhio che la vede.
Chi biasima la pittura, biasima la natura, perché le opere del pittore
rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha
carestia di sentimento.
Si prova la pittura esser filosofia perché essa tratta del moto de' corpi
nella prontitudine delle loro azioni, e la filosofia ancora lei si estende
nel moto. Tutte le scienze che finiscono in parole hanno sì presto morte come
vita, eccetto la sua parte manuale, cioè lo scrivere, ch'è parte meccanica.
6. Come la pittura abbraccia le superficie, figure e colori de' corpi naturali, e la filosofia sol s'estende nelle lor virtú naturali.
La pittura si estende nelle superficie, colori e figure di qualunque cosa
creata dalla natura, e la filosofia penetra dentro ai medesimi corpi,
considerando in quelli le lor proprie virtú, ma non rimane satisfatta con
quella verità che fa il pittore, che abbraccia in sé la prima verità di tali
corpi, perché l'occhio meno s'inganna.
7. Come l'occhio meno s'inganna ne' suoi esercizi, che nessun altro senso, in luminosi, o trasparenti, ed uniformi, e mezzi.
L'occhio nelle debite distanze e debiti mezzi meno s'inganna nel suo ufficio
che nessun altro senso, perché vede se non per linee rette, che compongono la
piramide che si fa base dell'obietto, e la conduce ad esso occhio, come
intendo provare. Ma l'orecchio forte s'inganna ne' siti e distanze de' suoi
obietti, perché non vengono le specie a lui per rette linee, come quelli
dell'occhio, ma per linee tortuose e riflesse, e molte sono le volte che le
remote paiano più vicine che le propinque, mediante i transiti di tali
specie; benché la voce di eco sol per linee rette si riferisce ad esso senso;
l'odorato meno si certifica del sito donde si causa un odore; ma il gusto ed
il tatto, che toccano l'obietto, han soli notizie di esso tatto.
8. Come chi sprezza la pittura non ama la filosofia, né la natura.
Se tu sprezzerai la pittura, la quale è sola imitatrice di tutte le opere
evidenti di natura, per certo tu sprezzerai una sottile invenzione, la quale
con filosofica e sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme:
mare, siti, piante, animali, erbe, fiori, le quali sono cinte di ombra e
lume. E veramente questa è scienza e legittima figlia di natura, perché la
pittura è partorita da essa natura; ma per dir più corretto, diremo nipote di
natura, perché tutte le cose evidenti sono state partorite dalla natura,
dalle quali cose è nata la pittura. Adunque rettamente la chiameremo nipote
di essa natura e parente d'Iddio.
9. Come il pittore è signore d'ogni sorta di gente e di tutte le cose.
Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero
all'uomo, perciocché s'egli ha desiderio di vedere bellezze che lo
innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere cose mostruose che
spaventino, o che sieno buffonesche e risibili, o veramente compassionevoli,
ei n'è signore e creatore. E se vuol generare siti deserti, luoghi ombrosi o
freschi ne' tempi caldi, esso li figura, e così luoghi caldi ne' tempi
freddi. Se vuol valli, il simile; se vuole dalle alte cime di monti scoprire
gran campagna, e se vuole dopo quelle vedere l'orizzonte del mare, egli n'è
signore; e così pure se dalle basse valli vuol vedere gli alti monti, o dagli
alti monti le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ciò che è nell'universo
per essenza, presenza o immaginazione, esso lo ha prima nella mente, e poi nelle
mani, e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una
proporzionata armonia in un solo sguardo qual fanno le cose.
10. Del poeta e del pittore.
La pittura serve a più degno senso che la poesia, e fa con più verità le
figure delle opere di natura che il poeta, e sono molto più degne le opere di
natura che le parole, che sono opere dell'uomo; perché tal proporzione è
dalle opere degli uomini a quelle della natura, qual è quella ch'è dall'uomo
a Dio. Adunque è più degna cosa l'imitar le cose di natura, che sono le vere
similitudini in fatto, che con parole imitare i fatti e le parole degli
uomini. E se tu, poeta, vuoi descrivere le opere di natura colla tua semplice
professione, fingendo siti diversi e forme di varie cose, tu sei superato dal
pittore con infinita proporzione di potenza; ma se vuoi vestirti delle altrui
scienze separate da essa poesia, elle non sono tue, come astrologia,
rettorica, teologia, filosofia, geometria, aritmetica e simili; tu non sei
allora poeta, tu ti trasmuti, e non sei più quello di che qui si parla. Or
non vedi tu, che se tu vuoi andare alla natura, tu vi vai con mezzi di
scienze fatte d'altrui sopra gli effetti di natura, ed il pittore per sé
senza aiuto di scienza o d'altri mezzi va immediate alla imitazione di esse
opere di natura. Con questa si muovono gli amanti verso i simulacri della
cosa amata a parlare colle imitate pitture; con questa si muovono i popoli
con infervorati voti a ricercare i simulacri degl'iddii; e non a vedere le
opere de' poeti, che con parole figurino i medesimi iddii. Con questa
s'ingannano gli animali: già vid'io una pittura che ingannava il cane
mediante la similitudine del suo padrone, alla quale esso cane facea
grandissima festa; e similmente ho visto i cani abbaiare, e voler mordere i
cani dipinti; ed una scimmia fare infinite pazzie contro ad un'altra scimmia
dipinta. Ho veduto la rondine volare e posarsi sopra i ferri dipinti che
sportano fuori delle finestre degli edifizi; tutte operazioni del pittore
maravigliosissime.
11. Esempio tra la poesia e la pittura.
Non vede la immaginazione cotal eccellenza qual vede l'occhio, perché
l'occhio riceve le specie, ovvero similitudini degli obietti, e li dà
all'impressiva, e da essa impressiva al senso comune, e lí è giudicata. Ma la
immaginazione non esce fuori da esso senso comune, se non in quanto essa va
alla memoria, e lí ferma e lí muore, se la cosa immaginata non è di molta
eccellenza. Ed in questo caso si ritrova la poesia nella mente, ovvero
immaginativa del poeta, il quale finge le medesime cose del pittore, per le
quali finzioni egli vuole equipararsi ad esso pittore, ma invero ei n'è molto
remoto, come di sopra è dimostrato. Adunque in tal caso di finzione diremo
con verità essere tal proporzione dalla scienza della pittura alla poesia,
qual è dal corpo alla sua ombra derivativa, ed ancora maggiore proporzione,
conciossiaché l'ombra di tal corpo almeno entra per l'occhio al senso comune,
ma la immaginazione di tale corpo non entra in esso senso, ma lí nasce
nell'occhio tenebroso; oh che differenza è dall'immaginare tal luce
nell'occhio tenebroso, al vederla in atto fuori delle tenebre!
Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e
tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, miste
con la spessa polvere intorbidatrice dell'aria, e la paurosa fuga de' miseri
spaventati dall'orribile morte. In questo caso il pittore ti supera, perché
la tua penna sarà consumata innanzi che tu descriva appieno quel che
immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà
impedita dalla sete, ed il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con
parole dimostri quello che in un istante il pittore ti dimostra. Nella qual
pittura non manca altro che l'anima delle cose finte, ed in ciascun corpo è
la integrità di quella parte che per un solo aspetto può dimostrarsi. Lunga e
tediosissima cosa sarebbe alla poesia ridire tutti i movimenti degli
operatori di tal guerra, e le parti delle membra e loro ornamenti, delle
quali cose la pittura finita con gran brevità e verità ti pone innanzi, e da
questa tal dimostrazione non manca se non il rumore delle macchine e le grida
degli spaventanti vincitori e le grida e pianti degli spaventati. Le quali
cose ancora il poeta non può rappresentare al senso dell'udito. Diremo
adunque la poesia essere scienza che sommamente opera negli orbi, e la
pittura fare il medesimo ne' sordi, ma tanto resta più degna la pittura,
quanto ella serve a miglior senso.
Solo il vero ufficio del poeta è fingere parole di gente che insieme parlino,
e sol queste rappresenta al senso dell'udito tanto come naturali, perché in
sé sono naturali create dalla umana voce; ed in tutte le altre conseguenze è
superato dal pittore.
Ma molto più senza comparazione son le varietà in che s'estende la pittura,
che quelle in che s'estendono le parole, perché infinite cose farà il
pittore, che le parole non potranno nominare, per non avere vocaboli
appropriati a quelle. Or non vedi tu che se il pittore vuol fingere animali,
o diavoli nell'inferno, con quanta abbondanza d'invenzione egli trascorre?
Qual è colui che non voglia prima perdere l'udito, l'odorato e il tatto, che
il vedere? perché chi perde il vedere è come uno ch'è cacciato dal mondo,
perché egli più nol vede, né nessuna sua cosa, e questa vita è sorella della
morte.
12. Qual è di maggior danno alla specie umana, o perder l'occhio o l'orecchio.
Maggior danno ricevono gli animali per la perdita del vedere che dell'udire,
per più cagioni; e prima, che mediante il vedere il cibo è ritrovato, donde
si deve nutrire, il quale è necessario a tutti gli animali. Il secondo, che
per il vedere si comprende il bello delle cose create, massime delle cose che
inducono all'amore, nel quale il cieco nato non può pigliare per l'udito,
perché mai non ebbe notizia che cosa fosse bellezza di alcuna cosa. Restagli
l'udito per il quale solo intende le voci e parlare umano, nel quale sono i
nomi di tutte le cose, a cui è dato il proprio nome; senza la saputa di essi
nomi, ben si può vivere lieto, come si vede ne' sordi nati, cioè i muti,
mediante il disegno, del quale il più de' muti si dilettano. E se tu dirai
che il vedere impedisce la fissa e sottile cognizione mentale, con la quale
si penetra nelle divine scienze, e tale impedimento condusse un filosofo a
privarsi del vedere, a questo rispondo, che tal occhio come signore de' sensi
fa il suo debito a dare impedimento ai confusi e bugiardi, non scienze, ma
discorsi, per i quali sempre con gran gridore e menar di mani si disputa; ed
il medesimo dovrebbe fare l'udito, il quale ne rimane più offeso, perché egli
vorrebbe accordo, del quale tutti i sensi s'intricano. E se tale filosofo si
trasse gli occhi per levare l'impedimento a' suoi discorsi, or pensa che tale
atto fu compagno del cervello e de' discorsi, perché il tutto fu pazzia; or
non potea egli serrarsi gli occhi, quando esso entrava in tale frenesia, e
tanto tenerli serrati che tal furore si consumasse? Ma pazzo fu l'uomo, e
pazzo il discorso, e stoltissimo il trarsi gli occhi.
13. Come la scienza dell'astrologia nasce dall'occhio, perché mediante quello è generata.
Nessuna parte è nell'astrologia che non sia ufficio delle linee visuali e
della prospettiva, figliuola della pittura; perché il pittore è quello che
per necessità della sua arte ha partorito essa prospettiva, e non si può fare
per sé senza linee, dentro alle quali linee s'inchiudono tutte le varie
figure de' corpi generati dalla natura, e senza le quali l'arte del geometra
è orba. E se il geometra riduce ogni superficie circondata da linee alla
figura del quadrato, ed ogni corpo alla figura del cubo; e l'aritmetica fa il
simile con le sue radici cube e quadrate; queste due scienze non si estendono
se non alla notizia della quantità continua e discontinua, ma della qualità
non si travagliano, la quale è bellezza delle opere di natura ed ornamento
del mondo.
14. Pittore che disputa col poeta.
Qual poeta con parole ti metterà innanzi, o amante, la vera effigie della tua
idea con tanta verità, qual farà il pittore? Quale sarà quello che ti
dimostrerà i siti de' fiumi, boschi, valli e campagne, dove si rappresentino
i tuoi passati piaceri, con più verità del pittore? E se tu dici che la
pittura è una poesia muta per sé, se non vi è chi dica o parli per lei quello
che la rappresenta, or non t'avvedi tu che il tuo libro si trova in peggior
grado? perché ancora ch'egli abbia un uomo che parli per lui, non si vede
niente della cosa di che si parla, come si vedrà di quello che parla per le
pitture; le quali pitture, se saranno ben proporzionati gli atti con i loro
accidenti mentali, saranno intese, come se parlassero.
15. Come la pittura avanza tutte le opere umane per sottili speculazioni appartenenti a quella.
L'occhio, che si dice finestra dell'anima, è la principale via donde il
comune senso può più copiosamente e magnificamente considerare le infinite
opere di natura e l'orecchio è il secondo, il quale si fa nobile per le cose
racconte, le quali ha veduto l'occhio. Se voi istoriografi, o poeti, o altri
matematici, non aveste con l'occhio visto le cose, male le potreste voi
riferire per le scritture. E se tu, poeta, figurerai una istoria con la
pittura della penna, il pittore col pennello la farà di più facile
satisfazione, e meno tediosa ad esser compresa. Se tu dimanderai la pittura
muta poesia, ancora il pittore potrà dire la poesia orba pittura. Or guarda
qual è più dannoso mostro, o il cieco, o il muto?
Se il poeta è libero come il pittore nelle invenzioni, le sue finzioni non
sono di tanta satisfazione agli uomini, quanto le pitture, perché se la
poesia s'estende con le parole a figurar forme, atti e siti, il pittore si
muove con le proprie similitudini delle forme a contraffare esse forme. Or
guarda quale è più propinquo all'uomo, o il nome d'uomo, o la similitudine di
esso uomo? Il nome dell'uomo si varia in varî paesi, e la forma non è mutata
se non per la morte. E se il poeta serve al senso per la via dell'orecchio,
il pittore per la via dell'occhio, più degno senso. Ma io non voglio da
questi tali altro che un buon pittore, che figuri il furore di una battaglia,
e che il poeta ne scriva un'altra, e che sieno messe in pubblico di
compagnia. Vedrai dove più si fermeranno i veditori, dove più considereranno,
dove si darà più laude, e quale satisfarà meglio. Certo la pittura, di gran
lunga più utile e bella, più piacerà. Poni in iscritto il nome d'Iddio in un
luogo, e ponvi la sua figura a riscontro, e vedrai quale sarà più riverita.
Se la pittura abbraccia in sé tutte le forme della natura, voi non avete se
non i nomi, i quali non sono universali come le forme; se voi avete gli
effetti delle dimostrazioni, noi abbiamo le dimostrazioni degli effetti.
Tolgasi un poeta che descriva le bellezze di una donna al suo innamorato, e
tolgasi un pittore che la figuri; vedrassi dove la natura volgerà più il
giudicatore innamorato. Certo, il cimento delle cose dovrebbe lasciar dare la
sentenza alla sperienza. Voi avete messa la pittura fra le arti meccaniche.
Certo, se i pittori fossero atti a laudare con lo scrivere le opere loro come
voi, credo non giacerebbe in così vile cognome. Se voi la chiamate meccanica
perché è prima manuale, ché le mani figurano quello che trovano nella
fantasia, voi scrittori disegnate con la penna manualmente quello che
nell'ingegno vostro si trova. E se voi diceste essere meccanica perché si fa
a prezzo, chi cade in questo errore, se errore può chiamarsi, più di voi? Se
voi leggete per gli studi, non andate da chi più vi premia? Fate voi alcuna
opera senza qualche premio? Benché questo non dico per biasimare simili
opinioni, perché ogni fatica aspetta premio, e potrà dire un poeta: io farò
una finzione, che significherà cose grandi; questo medesimo farà il pittore,
come fece Apelle la Calunnia. Se voi diceste: la poesia è più eterna, per
questo dirò essere più eterne le opere di un calderaio, ché il tempo più le
conserva che le vostre, o nostre opere; nientedimeno è di poca fantasia, e la
pittura si può, dipingendo sopra rame con colori di vetro, farla molto più
eterna. Noi per arte possiamo esser detti nipoti a Dio. Se la poesia
s'estende in filosofia morale, e questa in filosofia naturale; se quella descrive
le operazioni della mente che considera quella; se la mente opera nei
movimenti; se quella spaventa i popoli colle infernali finzioni, questa con
le medesime cose in atto fa il simile. Pongasi il poeta a figurare una
bellezza, una fierezza, una cosa nefanda e brutta una mostruosa, col pittore;
faccia a suo modo come vuole trasmutazione di forme, che il pittore non
satisfaccia più. Non s'è egli visto pitture avere avuto tanta conformità con
la cosa imitata, che hanno ingannato uomini ed animali?
16. Differenza che ha la pittura con la poesia.
La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura
che si sente e non si vede. Adunque queste due poesie, o vuoi dire due
pitture, hanno scambiati i sensi, per i quali esse dovrebbero penetrare
all'intelletto. Perché se l'una e l'altra è pittura, devono passare al senso
comune per il senso più nobile, cioè l'occhio; e se l'una e l'altra è poesia,
esse hanno a passare per il senso meno nobile, cioè l'udito. Adunque daremo
la pittura al giudizio del sordo nato, e la poesia sarà giudicata dal cieco
nato, e se la pittura sarà figurata con i movimenti appropriati agli
accidenti mentali delle figure che operano in qualunque caso, senza dubbio il
sordo nato intenderà le operazioni ed intenzioni degli operatori, ma il cieco
nato non intenderà mai cosa che dimostri il poeta, la quale faccia onore ad
essa poesia; conciossiaché delle nobili sue parti è il figurare i gesti e i
componimenti delle istorie, e i siti ornati e dilettevoli con le trasparenti
acque, per le quali si vedono i verdeggianti fondi de' suoi corsi, scherzare
le onde sopra prati e minute ghiaie, con le erbe, che con lor si mischiano
insieme con i guizzanti pesci, e simili descrizioni, le quali si potrebbero
così dire ad un sasso, come ad un cieco nato, perché mai vide nessuna cosa di
che si compone la bellezza del mondo, cioè luce, tenebre, colore, corpo,
figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete; le quali sono dieci
ornamenti della natura. Ma il sordo avendo perso il senso meno nobile, ancora
ch'egli abbia insieme persa la loquela, perché mai udí parlare, mai poté
imparare alcun linguaggio, ma questo intenderà bene ogni accidente che sia
ne' corpi umani, meglio che un che parli e che abbia udito, e similmente
conoscerà le opere de' pittori e quello che in esse si rappresenti, ed a che
tali figure siano appropriate.
17. Che differenza è dalla pittura alla poesia.
La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e l'una e
l'altra vanno imitando la natura quanto è possibile alle loro potenze, e per
l'una e per l'altra si può dimostrare molti morali costumi, come fece Apelle
con la sua Calunnia. Ma della pittura, perché serve all'occhio, senso più
nobile che l'orecchio, obietto della poesia, ne risulta una proporzione
armonica; cioè, che siccome di molte e varie voci insieme aggiunte ad un
medesimo tempo, ne risulta una proporzione armonica, la quale contenta tanto
il senso dell'udito, che gli uditori restano con stupente ammirazione quasi
semivivi. Ma molto più faranno le proporzionali bellezze di un angelico viso
posto in pittura, dalla quale proporzionalità ne risulta un armonico
concento, il quale serve all'occhio nel medesimo tempo che si faccia dalla
musica all'orecchio. E se tale armonia delle bellezze sarà mostrata
all'amante di quella di che tali bellezze sono imitate, senza dubbio esso
resterà con istupenda ammirazione e gaudio incomparabile e superiore a tutti
gli altri sensi. Ma dalla poesia la quale si abbia a stendere alla
figurazione d'una perfetta bellezza, con la figurazione particolare di
ciascuna parte della quale si compone in pittura la predetta armonia, non ne
risulta altra grazia che si facesse a far sentire nella musica ciascuna voce
per sé sola in varî tempi, delle quali non si comporrebbe alcun concento,
come se volessimo mostrare un volto a parte a parte, sempre ricoprendo quelle
che prima mostrarono, delle quali dimostrazioni l'oblivione non lascia
comporre alcuna proporzionalità di armonia, perché l'occhio non le abbraccia
con la sua virtú visiva ad un medesimo tempo. Il simile accade nelle bellezze
di qualunque cosa finta dal poeta, delle quali, per esser le sue parti dette
separatamente in separati tempi, la memoria non riceve alcuna armonia.
18. Differenza infra poesia e pittura.
La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale
il suo fattore l'ha generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual dare
possa alcuna cosa creata dalla natura. Ed in questo caso il poeta, che manda
le medesime cose al comun senso per la via dell'udito, minor senso, non dà
all'occhio altro piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che
differenza è dall'udir raccontare una cosa che dia piacere all'occhio con
lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedono le cose
naturali. Ed ancorché le cose de' poeti sieno con lungo intervallo di tempo
lette, spesse sono le volte che le non sono intese, e bisogna farvi sopra
diversi comenti, ne' quali rarissime volte tali comentatori intendono qual
fosse la mente del poeta; e molte volte i lettori non leggono se non piccola
parte delle loro opere per disagio di tempo. Ma l'opera del pittore immediate
è compresa da' suoi risguardatori.
19. Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la poesia.
La pittura ti rappresenta in un subito la sua essenza nella virtù visiva,
e per il proprio mezzo, d'onde la impressiva riceve gli obietti naturali, ed
ancora nel medesimo tempo, nel quale si compone l'armonica proporzionalità
delle parti che compongono il tutto, che contenta il senso; e la poesia
riferisce il medesimo, ma con mezzo meno degno dell'occhio, il quale porta
nella impressiva più confusamente e con più tardità le figurazioni delle cose
nominate che non fa l'occhio, vero mezzo infra l'obietto e l'impressiva, il
quale immediate conferisce con somma verità le vere superficie e figure di
quel che dinanzi se gli appresenta, dalle quali ne nasce la proporzionalità
detta armonia, che con dolce concento contenta il senso, non altrimenti che
si facciano le proporzionalità di diverse voci al senso dell'udito; il quale
ancora è men degno che quello dell'occhio, perché tanto quanto ne nasce,
tanto ne muore; ed è sì veloce nel morire come nel nascere. Il che
intervenire non può nel senso del vedere, perché se tu rappresenterai
all'occhio una bellezza umana composta di proporzionalità di belle membra,
essa bellezza non è sí mortale, né sì presto si strugge, come fa la musica,
anzi ha lunga permanenza, e ti si lascia vedere e considerare, e non rinasce,
come fa la musica nel molto sonare, né t'induce fastidio, anzi, t'innamora,
ed è causa che tutti i sensi insieme con l'occhio la vorrebbero possedere, e
pare che a gara voglion combattere con l'occhio. Pare che la bocca se la
vorrebbe per sé in corpo, l'orecchio piglia piacere d'udire le sue bellezze,
il senso del tatto la vorrebbe penetrare per tutti i suoi meati, il naso
ancora vorrebbe ricevere l'aria che al continuo da lei spira. Ma la bellezza
di tale armonia il tempo in pochi anni la distrugge; il che non accade in tal
bellezza imitata dal pittore, perché il tempo lungamente la conserva, e
l'occhio in quanto al suo ufficio piglia il vero piacere di tal bellezza
dipinta, qual si facesse nella bellezza viva.
Mancagli il tatto, il quale si fa maggior fratello nel medesimo tempo, il
quale, poiché avrà avuto il suo intento, non impedisce la ragione dal
considerare la divina bellezza. Ed in questo caso la pittura imitata da
quella in gran parte supplisce, il che supplire non potrà la descrizione del
poeta; il quale in questo caso si vuole equiparare al pittore, ma non si
avvede che le sue parole, nel far menzione delle membra di tal bellezza, il
tempo le divide l'una dall'altra, v'inframette l'oblivione, e divide le
proporzioni, le quali senza gran prolissità e' non può nominare. E non
potendole nominare, esso non può comporre l'armonica proporzionalità, la
quale è composta di divine proporzioni. E per questo un medesimo tempo, nel
quale s'inchiude la speculazione di una bellezza dipinta, non può dare una
bellezza descritta, e fa peccato contro natura quello che si dee metter per
l'occhio a volerlo mettere per l'orecchio. Lasciavi entrare l'ufficio della
musica, e non vi mettere la scienza della pittura, vera imitatrice delle
naturali figure di tutte le cose. Che ti muove, o uomo, ad abbandonare le
proprie tue abitazioni della città, e lasciare i parenti ed amici, ed andare
in luoghi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo,
la quale, se ben consideri, sol col senso del vedere fruisci? E se il poeta
vuole in tal caso chiamarsi anco lui pittore, perché non pigliavi tali siti
descritti dal poeta, e te ne stavi in casa senza sentire il soverchio calore
del sole? O non t'era questo più utile e men fatica, perché si fa al fresco e
senza moto e pericolo di malattia? Ma l'anima non potea fruire il benefizio
degli occhi, finestre delle sue abitazioni, e non potea ricevere le specie
degli allegri siti, non potea vedere le ombrose valli, rigate dallo scherzare
de' serpeggianti fiumi, non potea vedere i varî fiori che con loro colori
fanno armonia all'occhio, e così tutte le altre cose che ad esso occhio
rappresentare si possono. Ma se il pittore ne' freddi e rigidi tempi
dell'inverno ti pone innanzi i medesimi paesi dipinti, ed altri, ne' quali tu
abbia ricevuto i tuoi piaceri, appresso a qualche fonte; tu possa rivedere te
amante con la tua amata, ne' fioriti prati, sotto le dolci ombre delle
verdeggianti piante, non riceverai tu altro piacere che ad udire tale effetto
descritto dal poeta? Qui risponde il poeta, e cede alle sopradette ragioni,
ma dice che supera il pittore, perché lui fa parlare e ragionare gli uomini
con diverse finzioni, nelle quali ei finge cose che non sono, e che commoverà
gli uomini a pigliare le armi, e che descriverà il cielo, le stelle, e la natura,
e le arti, ed ogni cosa. Al quale si risponde, che nessuna di queste cose di
che egli parla è sua professione propria, ma che s'ei vuol parlare ed orare,
è da persuadere che in questo egli è vinto dall'oratore; e se parla
d'astrologia, che lo ha rubato all'astrologo, e di filosofia, al filosofo, e
che in effetto la poesia non ha propria sede, né la merita altrimenti che di
un merciaio ragunatore di mercanzie fatte da diversi artigiani. Ma la deità
della scienza della pittura considera le opere così umane come divine, le
quali sono terminate dalle loro superficie, cioè linee de' termini de' corpi,
con le quali ella comanda allo scultore la perfezione delle sue statue.
Questa col suo principio, cioè il disegno, insegna all'architettore a fare
che il suo edificio si renda grato all'occhio; questa insegna ai componitori
di diversi vasi, agli orefici, tessitori, ricamatori; questa ha trovato i
caratteri, con i quali si esprimono i diversi linguaggi; questa ha dato le
caratte agli aritmetici; questa ha insegnato la figurazione alla geometria;
questa insegna ai prospettivi ed astrologhi ed ai macchinatori ed ingegneri.
20. Dell'occhio.
L'occhio, dal quale la bellezza dell'universo è specchiata dai contemplanti,
e di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita, si priva della
rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali
l'anima sta contenta nelle umane carceri, mediante gli occhi, per i quali
essa anima si rappresenta tutte le varie cose di natura. Ma chi li perde
lascia essa anima in una oscura prigione, dove si perde ogni speranza di
rivedere il sole, luce di tutto il mondo. E quanti son quelli acui le tenebre
notturne sono in sommo odio, ancora ch'elle sieno di breve vita! O che
farebbero questi quando tali tenebre fossero compagne della vita loro? Certo,
non è nessuno che non volesse piuttosto perdere l'udito e l'odorato che
l'occhio, la perdita del quale udire consente la perdita di tutte le scienze
che hanno termine nelle parole, e sol fa questo per non perdere la bellezza
del mondo, la quale consiste nella superficie de' corpi sì accidentali come
naturali, i quali si riflettono nell'occhio umano.
21. Disputa del poeta col pittore, e che differenza è da poesia a pittura.
Dice il poeta che la sua scienza è invenzione e misura; e questo è il
semplice corpo di poesia, invenzione di materia, e misura ne' versi, e che
essa si veste poi di tutte le scienze. Al quale risponde il pittore avere i
medesimi obblighi nella scienza della pittura, cioè invenzione e misura;
invenzione nella materia, ch'egli deve fingere, e misura nelle cose dipinte,
acciocché non sieno sproporzionate; ma ch'ei non si veste tali tre scienze,
anzi, che le altre in gran parte si vestono della pittura, come l'astrologia,
che nulla fa senza la prospettiva, la quale è principal membro di essa
pittura, cioè l'astrologia matematica, non dico della fallace giudiciale,
perdonimi chi per mezzo degli sciocchi ne vive. Dice il poeta, che descrive
una cosa, che ne rappresenta un'altra piena di belle sentenze. Il pittore
dice avere in arbitrio di fare il medesimo, e in questa parte anco egli è
poeta. E se il poeta dice di fare accendere gli uomini ad amare, che è cosa
principale della specie di tutti gli animali, il pittore ha potenza di fare
il medesimo, tanto più ch'egli mette innanzi all'amante la propria effigie
della cosa amata, il quale spesso fa con quella, baciandola, e parlando con
quella, quello che non farebbe con le medesime bellezze postegli innanzi
dallo scrittore. E tanto più supera gl'ingegni degli uomini ad amare ed
innamorarsi di pittura che non rappresenta alcuna donna viva.
E già intervenne a me fare una pittura che rappresentava una cosa divina, la
quale comperata dall'amante di quella volle levarne la rappresentazione di
tal deità per poterla baciare senza sospetto, ma infine la coscienza vinse i
sospiri e la libidine, e fu forza ch'ei se la levasse di casa. Or va tu,
poeta, descrivi una bellezza senza rappresentazione di cosa viva, e desta gli
uomini con quella a tali desiderî. Se tu dirai: io ti descriverò l'inferno, o
il paradiso, ed altre delizie o spaventi, il pittore ti supera, perché ti
metterà innanzi cose, che tacendo diranno tali delizie o ti spaventeranno e
ti muoveranno l'animo a fuggire. Muove più presto i sensi la pittura che la
poesia; e se tu dirai che con le parole tu leverai un popolo in pianto, o in
riso, io ti dirò che non se' tu che muove, egli è l'oratore, ed è una scienza
che non è poesia. Ma il pittore muoverà a riso, non a pianto, perché il
pianto è maggiore accidente che non è il riso. Un pittore fece una pittura,
che chi la vedea subito sbadigliava, e tanto replicava tale accidente, quanto
si teneva gli occhi alla pittura, la quale ancora lei era finta sbadigliare.
Altri hanno dipinto atti libidinosi, e tanto lussuriosi, che hanno incitati i
risguardatori di quelli alla medesima festa; il che non farà la poesia. E se
tu scriverai la figura di alcuni dèi, non sarà tale scrittura nella medesima
venerazione che la idea dipinta, perché a tale pittura sarà fatto di continuo
voti e diverse orazioni, ed a quella concorreranno varie generazioni di
diverse provincie, e per i mari orientali, e da tali si dimanderà soccorso a
tal pittura, e non alla scrittura.
22. Arguizione del poeta contro il pittore.
Tu dici, o pittore, che la tua arte è adorata, ma non imputare a te tal
virtú, ma alla cosa di che tal pittura è rappresentatrice. Qui il pittore
risponde: O tu, poeta, che ti fai ancora tu imitatore, perché non rappresenti
tu colle tue parole cose che le lettere tue contenitrici di tali parole
ancora esse sieno adorate? Ma la natura ha più favorito il pittore che il
poeta, e meritamente le opere del favorito debbono essere più onorate, che
quelle di chi non è in favore. Adunque laudiamo quello che con le parole
satisfa all'udito, e quel che con la pittura satisfa al contento del vedere.
Ma tanto meno quel delle parole, quanto esse sono accidentali, e create da
minor autore che le opere di natura, di che il pittore è imitatore; la qual
natura è terminante dentro alle figure delle lor superficie.
23. Risposta del re Mattia ad un poeta che gareggiava con un pittore.
Portando il dí del natale del re Mattia un poeta un'opera fattagli in laude
del giorno ch'esso re era nato a benefizio del mondo, ed un pittore
presentandogli un ritratto della sua innamorata, subito il re rinchiuse il
libro del poeta, e voltossi alla pittura, ed a quella fermò la vista con
grande ammirazione. Allora il poeta forte isdegnato disse: O re, leggi,
leggi, e sentirai cosa di maggior sostanza che una muta pittura. Allora il re,
sentendosi riprendere del risguardar cose mute, disse: O poeta, taci che non
sai ció che ti dica; questa pittura serve a miglior senso che la tua, la
quale è da orbi. Dammi cosa ch'io la possa vedere e toccare, e non che
solamente la possa udire, e non biasimar la mia elezione dell'avermi io messa
la tua opera sotto il gomito, e questa del pittore tengo con ambo le mani,
dandola a' miei occhi, perché le mani da lor medesime hanno tolto a servire a
più degno senso che non è l'udire; ed io per me giudico che tale proporzione
sia dalla scienza del pittore a quella del poeta, qual è da' suoi sensi, de'
quali questi si fanno obietti. Non sai tu che la nostra anima è composta di
armonia, ed armonia non s'ingenera se non in istanti, ne' quali le
proporzionalità degli obietti si fan vedere o udire? Non vedi che nella tua
scienza non è proporzionalità creata in istante, anzi, l'una parte nasce
dall'altra successivamente, e non nasce la succedente se l'antecedente non
muore? Per questo giudico la tua invenzione essere assai inferiore a quella
del pittore, solo perché da quella non componesi proporzionalità armonica.
Essa non contenta la mente dell'uditore o veditore, come fa la
proporzionalità delle bellissime membra componitrici delle divine bellezze di
questo viso che m'è dinanzi, le quali in un medesimo tempo tutte insieme
giunte mi danno tanto piacere, con la divina loro proporzione, che nulla
altra cosa giudico esser sopra la terra fatta dall'uomo che dar lo possa
maggiore.
Non è sí insensato giudizio, che, se gli è proposto qual è più da eleggere, o
stare in perpetue tenebre, o voler perdere l'udito, che subito non dica
volere piuttosto perdere l'udito, insieme con l'odorato, prima che restar
cieco. Perché chi perde il vedere, perde la bellezza del mondo con tutte le
forme delle cose create, ed il sordo sol perde il suono fatto dal moto
dell'aria percossa, ch'è minima cosa nel mondo. Tu che dici la scienza essere
tanto più nobile, quanto essa si estende in più degno subietto, e per questo
più vale una falsa immaginazione dell'essenza d'Iddio, che una immaginazione
di una cosa men degna; per questo diremo la pittura, la quale solo s'estende
nelle opere d'Iddio, essere più degna della poesia, che solo s'estende in
bugiarde finzioni delle opere umane. Con debita lamentazione si duole la
pittura per essere lei scacciata dal numero delle arti liberali;
conciossiacché essa sia vera figliuola della natura, ed operata da più degno
senso; onde a torto, o scrittori, l'avete lasciata fuori del numero di dette
arti liberali, conciossiaché questa, non che alle opere di natura, ma ad
infinite attende che la natura mai creò.
24. Conclusione infra il poeta ed il pittore.
Poiché noi abbiamo concluso la poesia essere in sommo grado di comprensione
ai ciechi, e che la pittura fa il medesimo ai sordi, noi diremo tanto di più
valere la pittura che la poesia, quanto la pittura serve a miglior senso e
più nobile che la poesia, la qual nobiltà è provata esser tripla alla nobiltà
di tre altri sensi; perché è stato eletto di volere piuttosto perdere l'udito
ed odorato e tatto, che il senso del vedere; perché chi perde il vedere,
perde la veduta e bellezza dell'universo, e resta a similitudine di uno che
sia chiuso in vita in una sepoltura, nella quale abbia moto e vita. Or non
vedi tu che l'occhio abbraccia la bellezza di tutto il mondo? Egli è capo
dell'astrologia; egli fa la cosmografia; esso tutte le umane arti consiglia e
corregge; muove l'uomo a diverse parti del mondo; questo è principe delle
matematiche, le sue scienze sono certissime; questo ha misurato le altezze e
grandezze delle stelle; questo ha trovato gli elementi e loro siti; questo ha
fatto predire le cose future mediante il corso delle stelle; questo
l'architettura e prospettiva, questo la divina pittura ha generata. O eccellentissimo
sopra tutte le altre cose create da Dio! quali laudi saran quelle che
esprimere possano la tua nobiltà? quali popoli, quali lingue saranno quelle
che appieno possono descrivere la tua vera operazione? Questo è finestra
dell'umano corpo, per la quale la sua via (?)
specula, e fruisce la bellezza del mondo; per questo l'anima si contenta
dell'umana carcere, e senza questo essa umana carcere è suo tormento; e per
questo l'industria umana ha trovato il fuoco, mediante il quale l'occhio
riacquista quello che prima gli tolsero le tenebre. Questo ha ornato la
natura coll'agricoltura e dilettevoli giardini. Ma che bisogna ch'io
m'estenda in sì alto e lungo discorso qual è quella cosa che per lui non si
faccia? Ei muove gli uomini dall'oriente all'occidente; questo ha trovato la
navigazione, ed in questo supera la natura, perché i semplici naturali sono
finiti, e le opere che l'occhio comanda alle mani sono infinite, come
dimostra il pittore nelle finzioni d'infinite forme di animali ed erbe piante
e siti.
25. Come la musica si dee chiamare sorella e minore della pittura.
La musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura,
conciossiaché essa è subietto dell'udito, secondo senso all'occhio, e compone
armonia con la congiunzione delle sue parti proporzionali operate nel
medesimo tempo, costrette a nascere e morire in uno o più tempi armonici, i
quali tempi circondano la proporzionalità de' membri di che tale armonia si
compone, non altrimenti che faccia la linea circonferenziale per le membra di
che si genera la bellezza umana.
Ma la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediate
dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica, anzi, resta in essere, e
ti si dimostra in vita quel che in fatto è una sola superficie. O maravigliosa
scienza, tu riservi in vita le caduche bellezze de' mortali, le quali hanno
più permanenza che le opere di natura, le quali al continuo sono variate dal
tempo, che le conduce alla debita vecchiezza; e tale scienza ha tale
proporzione con la divina natura, quale l'hanno le sue opere con le opere di
essa natura, e per questo è adorata.
26. Parla il musico col pittore.
Dice il musico, che la sua scienza è da essere equiparata a quella del
pittore, perché essa compone un corpo di molte membra, del quale lo
speculatore contempla tutta la grazia in tanti tempi armonici quanti sono i
tempi ne' quali essa nasce e muore, e con quei tempi trastulla con grazia
l'anima che risiede nel corpo del suo contemplante. Ma il pittore risponde e
dice che il corpo composto delle umane membra non dà di sé piacere a' tempi
armonici, ne' quali essa bellezza abbia a variarsi dando figurazione ad un
altro, né che in essi tempi abbia a nascere e morire, ma lo fa permanente per
moltissimi anni, ed è di tanta eccellenza ch'ella riserva in vita
quell'armonia delle proporzionate membra, le quali natura con tutte le sue
forze conservar non potrebbe. Quante pitture hanno conservato il simulacro di
una divina bellezza di cui il tempo o morte in breve ha distrutto il naturale
esempio, ed è restata più degna l'opera del pittore che della natura sua
maestra!
27. Il pittore dà i gradi delle cose opposte all'occhio, come il musico dà delle voci opposte all'orecchio.
Benché le cose opposte all'occhio si tocchino l'un l'altra di mano in mano,
nondimeno farò la mia regola di venti in venti braccia, come ha fatto il
musico infra le voci, che benché la sia unita ed appiccata insieme, nondimeno
ha pochi gradi di voce in voce, domandando quella prima, seconda, terza,
quarta e quinta, e cosí di grado in grado ha posto nomi alla varietà di
alzare e abbassare la voce. Se tu, o musico, dirai che la pittura è meccanica
per essere operata coll'esercizio delle mani, e la musica è operata con la
bocca, ch'è organo umano, ma non per conto del senso del gusto, come la mano
senso del tatto; meno degne sono ancora le parole che i fatti. Ma tu,
scrittore delle scienze, non copii tu con mano scrivendo ciò che sta nella
mente, come fa il pittore? E se tu dicessi la musica essere composta di
proporzione, ho io con questa medesima seguito la pittura come meglio vedrai.
Quella cosa è più degna che satisfa a miglior senso. Adunque la pittura
satisfattrice al senso del vedere è più nobile della musica che solo satisfa
all'udito. Quella cosa è più nobile che ha più eternità; adunque la musica,
che si va consumando mentre ch'ella nasce, è men degna della pittura, che con
vetri si fa eterna. Quella cosa che contiene in sé più universalità e varietà
di cose, quella sarà detta di più eccellenza. Adunque la pittura è da essere
preposta a tutte le operazioni, perché è contenitrice di tutte le forme che
sono, e di quelle che non sono in natura; è più da essere magnificata ed
esaltata che la musica, che solo attende alla voce. Con questa si fanno i
simulacri agli iddii; d'intorno a questa si fa il culto divino, il quale è
ornato con la musica a questa servente; con questa si dà copia agli amanti
della causa de' loro amori; con questa si riservano le bellezze, le quali il
tempo e la natura fan fuggitive; con questa noi riserviamo le similitudini
degli uomini famosi. E se tu dicessi: la musica s'eterna collo scriverla, il
medesimo facciamo noi qui colle lettere.
Adunque, poiché tu hai messa la musica infra le arti liberali, o tu vi metti
questa, o tu ne levi quella; e se tu dicessi: gli uomini vili l'adoprano, e
cosí è guasta la musica da chi non la sa. Se tu dirai: le scienze non
meccaniche sono le mentali, io ti dirò che la pittura è mentale, e ch'ella,
siccome la musica e la geometria considerano le proporzioni delle quantità continue,
e l'aritmetica delle discontinue, questa considera tutte le quantità
continue, e le qualità delle proporzioni d'ombre e lumi e distanze nella sua
prospettiva.
28. Conclusione del poeta, del pittore e del musico.
Tal differenza è in quanto alla figurazione delle cose corporee dal pittore
al poeta, quant'è dai corpi smembrati agli uniti, perché il poeta, nel
descrivere la bellezza e bruttezza di qualunque corpo, te lo dimostra a
membro a membro, ed in diversi tempi, ed il pittore tel fa vedere tutto in un
tempo.
Il poeta non può porre colle parole la vera figura delle membra di che si
compone un tutto, come il pittore, il quale tel pone innanzi con quella
verità ch'è possibile in natura. Ed al poeta accade il medesimo come al
musico, che canta solo un canto composto di quattro cantori, e canta prima il
canto, poi il tenore, e cosí seguita il contralto, e poi il basso; e di
costui non risulta la grazia della proporzionalità armonica, la quale si
rinchiude in tempi armonici, e fa esso poeta a similitudine di un bel volto,
il quale ti si mostra a membro a membro, che cosí facendo non rimarresti mai
satisfatto della sua bellezza, la quale solo consiste nella divina
proporzionalità delle predette membra insieme composte, le quali solo in un
tempo compongono essa divina armonia di esso congiunto di membra, che spesso
tolgono la libertà posseduta a chi le vede. E la musica ancora fa nel suo
tempo armonico le soavi melodie composte delle sue varie voci, dalle quali il
poeta è privato della loro descrizione armonica. E benché la poesia entri pel
senso dell'udito alla sede del giudizio siccome la musica, esso poeta non può
descrivere l'armonia della musica perché non ha potestà in un medesimo tempo
di dire diverse cose, come la proporzionalità armonica della pittura composta
di diverse membra in un medesimo tempo, la dolcezza delle quali sono
giudicate in un medesimo tempo cosí in comune, come in particolare. In
comune, in quanto all'intento del composto; in particolare in quanto
all'intento de' componenti, di che si compone esso tutto. E per questo il
poeta resta, in quanto alla figurazione delle cose corporee, molto indietro
al pittore, e delle cose invisibili rimane indietro al musico. Ma s'esso
poeta toglie in prestito l'aiuto delle altre scienze, potrà comparire alle
fiere come gli altri mercanti portatori di diverse cose fatte da più
inventori. E fa questo il poeta quando s'impresta l'altrui scienza, come
dell'oratore, filosofo, astrologo, cosmografo, e simili, le quali scienze
sono in tutto separate dal poeta. Adunque questo è un sensale che giunge
insieme a diverse persone a fare una conclusione di un mercato. E se tu
vorrai trovare il proprio ufficio del poeta, tu troverai non essere altro che
un adunatore di cose rubate a diverse scienze, colle quali egli fa un
composto bugiardo, o vuoi, con più onesto dire un composto finto; ed in
questa tal finzione libera esso poeta s'è equiparato al pittore, ch'è la più
debole parte della pittura.
29. Quale scienza è meccanica, e quale non è meccanica.
Dicono quella cognizione esser meccanica la quale è partorita
dall'esperienza, e quella esser scientifica che nasce e finisce nella mente,
e quella essere semimeccanica che nasce dalla scienza e finisce nella
operazione manuale. Ma a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di
errori le quali non sono nate dall'esperienza, madre di ogni certezza, e che
non terminano in nota esperienza, cioè che la loro origine, o mezzo, o fine,
non passa per nessuno de' cinque sensi. E se noi dubitiamo della certezza di
ciascuna cosa che passa per i sensi, quanto maggiormente dobbiamo noi
dubitare delle cose ribelli ad essi sensi, come dell'assenza di Dio e
dell'anima e simili, (Nel codice Vaticano è stata tirata una linea
sul brano che incomincia con le parole: "E se noi dubitiamo" e
termina: "e non certezza rinata." L'edizione De Romanis (Roma 1817)
riproduce quel brano, sopprimendo però l'inciso: "come l'assenza di Dio
e dell'anima e simili," probabilmente per non incorrere nella censura.
Per simile motivo la stessa edizione romana, al § 4, invece delle parole:
"le immagini delle divine deità," ha: "le immagini de'
santi," ed al § 8, alle parole: "parente d'Iddio," sostituisce
"opera d'Iddio.") per le quali sempre si disputa e
contende. E veramente accade che sempre dove manca la ragione suppliscono le
grida, la qual cosa non accade nelle cose certe. Per questo diremo che dove
si grida non è vera scienza, perché la verità ha un sol termine, il quale
essendo pubblicato, il litigio resta in eterno distrutto, e s'esso litigio
resurge, ella è bugiarda e confusa scienza, e non certezza rinata. Ma le vere
scienze son quelle che la speranza ha fatto penetrare per i sensi, e posto
silenzio alla lingua de' litiganti, e che non pasce di sogni i suoi
investigatori, ma sempre sopra i primi veri e noti principî procede
successivamente e con vere seguenze insino al fine, come si dinota nelle
prime matematiche, cioè numero e misura, dette aritmetica e geometria, che
trattano con somma verità della quantità discontinua e continua. Qui non si
arguirà che due tre facciano più o men che sei, né che un triangolo abbia i
suoi angoli minori di due angoli retti, ma con eterno silenzio resta
distrutta ogni arguizione, e con pace sono fruite dai loro devoti, il che far
non possono le bugiarde scienze mentali. E se tu dirai tali scienze vere e
note essere di specie di meccaniche, imperocché non si possono finire se non
manualmente, io dirò il medesimo di tutte le arti che passano per le mani
degli scrittori, le quali sono di specie di disegno, membro della pittura; e
l'astrologia e le altre passano per le manuali operazioni, ma prima sono
mentali com'è la pittura, la quale è prima nella mente del suo speculatore, e
non può pervenire alla sua perfezione senza la manuale operazione; della qual
pittura i suoi scientifici e veri principî prima ponendo che cosa è corpo
ombroso, e che cosa è ombra primitiva ed ombra derivativa, e che cosa è lume,
cioè tenebre, luce, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto
e quiete, le quali solo colla mente si comprendono senza opera manuale; e
questa sarà la scienza della pittura, che resta nella mente de' suoi
contemplanti, dalla quale nasce poi l'operazione, assai più degna della
predetta contemplazione o scienza.
Dopo questa viene la scultura, arte degnissima, ma non di tanta eccellenza
d'ingegno operata, conciossiaché in due casi principali sia difficilissima,
co' quali il pittore procede nella sua. Questa è aiutata dalla natura, cioè
prospettiva, ombra e lumi. Questa ancora non è imitatrice de' colori, per i
quali il pittore si affatica a trovare che le ombre sieno compagne de' lumi.
30. Perché la pittura non è connumerata nelle scienze.
Perché gli scrittori non hanno avuto notizia della scienza della pittura, non
hanno potuto descriverne i gradi e le parti. Ed essa medesima non si dimostra
col suo fine nelle parole; essa è restata, mediante l'ignoranza, indietro
alle predette scienze, non mancando per questo di sua divinità. E veramente
non senza cagione non l'hanno nobilitata, perché per sé medesima si nobilita
senza l'aiuto delle altrui lingue, non altrimenti che si facciano le
eccellenti opere di natura. E se i pittori non hanno di lei descritto e
ridottala in scienza, non è colpa della pittura. Perché pochi pittori fanno
professione di lettere, perché la lor vita non basta ad intendere quella, per
questo avremo noi a dire che essa è meno nobile? Avremo noi a dire che le
virtú delle erbe, pietre e piante non sieno in essere perché gli uomini non
le abbiano conosciute? Certo no, ma diremo esse erbe restarsi in sé nobili
senza l'aiuto delle lingue o lettere umane.
31. Comincia della scultura, e s'essa è scienza o no.
La scultura non è scienza ma arte meccanicissima, perché genera sudore e
fatica corporale al suo operatore e solo bastano a tale artista le semplici
misure dei membri e la natura de' movimenti e posati, e così in sé finisce
dimostrando all'occhio quel che quello è, e non dà di sé alcuna ammirazione
al suo contemplante, come fa la pittura, che in una piana superficie per
forza di scienza dimostra le grandissime campagne co' lontani orizzonti.
32. Differenza tra la pittura e la scultura.
Tra la pittura e la scultura non trovo altra differenza, senonché lo scultore
conduce le sue opere con maggior fatica di corpo che il pittore, ed il
pittore conduce le opere sue con maggior fatica di mente. Provasi così esser
vero, conciossiaché lo scultore nel fare la sua opera fa per forza di braccia
e di percussione a consumare il marmo, od altra pietra soverchia, ch'eccede
la figura che dentro a quella si rinchiude, con esercizio meccanicissimo,
accompagnato spesse volte da gran sudore composto di polvere e convertito in
fango, con la faccia impastata, e tutto infarinato di polvere di marmo che
pare un fornaio, e coperto di minute scaglie, che pare gli sia fioccato addosso;
e l'abitazione imbrattata e piena di scaglie, e di polvere di pietre. Il che
tutto al contrario avviene al pittore, parlando di pittori e scultori
eccellenti; imperocché il pittore con grande agio siede dinanzi alla sua
opera ben vestito e muove il lievissimo pennello co' vaghi colori, ed ornato
di vestimenti come a lui piace; ed è l'abitazione sua piena di vaghe pitture,
e pulita, ed accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle
opere, le quali, senza strepito di martelli od altro rumore misto, sono con
gran piacere udite. Ancora lo scultore nel condurre a fine le sue opere ha da
fare per ciascuna figura tonda molti dintorni, acciocché di tal figura ne
risulti grazia per tutti gli aspetti; e questi tali dintorni non son fatti se
non dalla convenienza dell'alto e basso, il quale non lo può porre con verità
se non si tira in parte che la veda in profilo, cioè che i termini della
concavità e rilievi sieno veduti avere confini coll'aria che li tocca. Ma
invero questo non aggiunge fatica all'artefice, considerando ch'egli, siccome
il pittore, ha vera notizia di tutti i termini delle cose vedute per
qualunque verso; la qual notizia al pittore, siccome allo scultore, sempre è
in potenza. Ma lo scultore avendo da cavare dove vuol fare gl'intervalli de'
muscoli, e da lasciare dove vuol fare i rilievi di essi muscoli, non li può
generare con debita figura oltre lo aver fatto la lunghezza e larghezza loro,
s'egli non si muove in traverso, piegandosi od alzandosi in modo ch'esso
vegga la vera altezza de' muscoli e la vera bassezza de' loro intervalli; e
questi son giudicati dallo scultore in tal sito, e per questa via di dintorni
si ricorreggono, altrimenti mai porrà bene i termini o vero figure delle sue
sculture. E questo tal modo dicono essere fatica di mente allo scultore,
perché non acquista altro che fatica corporale; perché in quanto alla mente,
o vo' dire giudizio, esso non ha se non in tal profilo a ricorreggere i
dintorni delle membra, dove i muscoli sono troppo alti; e questo è il proprio
ordinario dello scultore a condurre a fine le opere sue. Il quale ordinario è
condotto dalla vera notizia di tutti i termini delle figure de' corpi per
qualunque verso. Dice lo scultore, che se e' leva di soverchio, non può più
aggiungere, come il pittore. Al quale si risponde: se la sua arte era
perfetta, egli avrebbe sollevato mediante la notizia delle misure quel che
bastava, e non di soverchio, il quale levamento nasce dalla sua ignoranza, la
quale gli fa levare più o meno che non debba. Ma di questi non parlo, perché
non sono maestri, ma guastatori di marmi; i maestri non si fidano nel
giudizio dell'occhio, perché sempre inganna, come prova chi vuol dividere una
linea in due parti eguali a giudizio di occhio, che spesso la sperienza lo
inganna. Onde per tale sospetto i buoni giudici sempre temono, il che non
fanno gl'ignoranti; e per questo colla notizia della misura di ciascuna
lunghezza, grossezza e larghezza de' membri si vanno al continuo governando,
e così facendo non levano più del dovere. Il pittore ha dieci varî discorsi,
co' quali esso conduce al fine le sue opere, cioè luce, tenebre, colore,
corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete. Lo scultore solo
ha da considerare corpo, figura, sito, moto e quiete; nelle tenebre o luce
non s'impaccia, perché la natura da sé le genera nelle sue sculture; del
colore nulla; di remozione o propinquità se n'impaccia mezzanamente, cioè non
adopera se non la prospettiva lineale, ma non quella de' colori, che si
variano in varie distanze dall'occhio di colore e di notizia de' loro termini
e figure. Adunque ha meno discorso la scultura, e per conseguenza è di minore
fatica d'ingegno che la pittura.
33. Il pittore e lo scultore.
Dice lo scultore la sua arte essere più degna della pittura, conciossiaché quella
è più eterna per temer meno l'umido, il fuoco, il caldo ed il freddo, che la
pittura. A costui si risponde che questa tal cosa non fa più dignità nello
scultore, perché tal permanenza nasce dalla materia, e non dall'artefice, la
qual dignità può ancora essere nella pittura, dipingendo con colori di vetro
sopra i metalli, o terra cotta, e quelli in fornace far discorrere, e poi
pulire con diversi strumenti, e fare una superficie piana e lustra, come ai
nostri giorni si vede fare in diversi luoghi di Francia e d'Italia, e massime
in Firenze nel parentado della Robbia, i quali hanno trovato modo di condurre
ogni grande opera in pittura sopra terra cotta coperta di vetro. Vero è che
questa è sottoposta alle percussioni e rotture, siccome la scultura di marmo,
ma non è immune dalle offese de' distruttori (Nel codice: "ma
non è a' distruttori come le figure di bronzo." ) come le
figure di bronzo, ma di eternità si congiunge colla scultura, e di bellezza
la supera senza comparazione, perché in quella si congiungono le due
prospettive, e nella scultura tonda non è nessuna che non sia fatta dalla
natura. Lo scultore nel fare una figura tonda fa solamente due figure, e non
infinite per gl'infiniti aspetti donde essa può essere veduta, e di queste
due figure l'una è veduta dinanzi e l'altra di dietro; e questo si prova non
essere altrimenti, perché se tu fai una figura in mezzo rilievo veduta
dinanzi, tu non dirai mai avere fatto più opera in dimostrazione, che si
faccia il pittore in una figura fatta nella medesima veduta; e il simile
interviene a una figura volta indietro. Ma il basso rilievo è di più
speculazione senza comparazione al tutto rilievo, e si accosta in grandezza
di speculazione alquanto alla pittura, perché è obbligato alla prospettiva; e
il tutto rilievo non s'impaccia niente in tal cognizione, perché egli adopera
le semplici misure come le ha trovate al vivo; e di qui, in quanto a questa
parte, il pittore impara più presto la scultura, che lo scultore la pittura.
Ma per tornare al proposito di quel ch'è detto del basso rilievo, dico che
quello è di men fatica corporale che il tutto rilievo, ma assai di maggiore
investigazione, conciossiaché in quello si ha da considerare la proporzione
che han le distanze interposte infra le prime parti de' corpi e le seconde, e
dalle seconde alle terze successivamente; le quali se da te prospettivo
saranno considerate, tu non troverai opera nessuna in basso rilievo che non
sia piena di errori ne' casi del più e men rilievo che si richiede alla parte
de' corpi che sono più o men vicini all'occhio. Il che mai sarà nel tutto
rilievo, perché la natura aiuta lo scultore; e per questo quel che fa di
tutto rilievo manca di tanta difficoltà. Seguita un nimico capitale dello
scultore nel tutto e nel poco rilievo delle sue cose, le quali nulla valgono
se non hanno il lume accomodato simile a quello dove esse furono lavorate.
Imperocché se esse hanno il lume di sotto, le loro opere parranno assai, e
massime il basso rilievo, che quasi cancella negli opposti giudizi la sua
cognizione. Il che non può accadere al pittore, il quale, oltre all'aver
poste le membra delle sue cose, esso si è convertito ne' due uffici della
natura, i quali sono grandissimi, e questi sono le due prospettive, ed il
terzo di grandissimo discorso, ch'è il chiaro scuro delle ombre, o de' lumi,
di che lo scultore è ignorante, ed è aiutato dalla natura nel modo ch'essa
aiuta le altre cose invisibili artificiose.
34. Come la scultura è di minore ingegno che la pittura, e mancano in lei molte parti naturali.
Adoperandomi io non meno in scultura che in pittura, ed esercitando l'una e
l'altra in un medesimo grado, mi pare con picciola imputazione poterne dare
sentenza, quale sia di maggiore ingegno, difficoltà e perfezione l'una che
l'altra. Prima la scultura è sottoposta a certi lumi, cioè di sopra, e la
pittura porta per tutto seco e lume e ombra. E lume e ombra è la importanza
adunque della scultura; lo scultore in questo caso è aiutato dalla natura del
rilievo, ch'ella genera per sé; e il pittore per accidentale arte lo fa ne'
luoghi dove ragionevolmente lo farebbe la natura; lo scultore non si può
diversificare nelle varie nature de' colori delle cose; la pittura non manca
in parte alcuna.
Le prospettive degli scultori non paiono niente vere, quelle del pittore paiono
a centinaia di miglia di là dall'opera. La prospettiva aerea è lontana
dall'opera. Non possono figurare i corpi trasparenti, non possono figurare i
luminosi, non linee riflesse, non corpi lucidi, come specchi e simili cose
lustranti, non nebbie, non tempi oscuri, ed infinite cose che non si dicono
per non tediare. Ciò ch'ella ha, è che la è più resistente al tempo, benché a
simile resistenza la pittura fatta sopra rame grosso coperto di smalto
bianco, e sopra quello dipinto con colori di smalto, e rimesso in fuoco e
fatto cuocere, questa per eternità avanza la scultura. Potrà dire lo
scultore, che dove fa un errore non gli è facile il racconciarlo; questo è
debole argomento a voler provare che una ismemorataggine irrimediabile faccia
l'opera più degna; ma io dirò bene che l'ingegno del maestro che fa simili
errori sarà più difficile a racconciare, che non sarà a racconciare l'opera
da quello guasta. Noi sappiamo bene che quello che sarà pratico non farà
simili errori, anzi con buone regole andrà levando tanto poco per volta, che
condurrà bene la sua opera. Ancora lo scultore se fa di terra o cera può
levare e porre, e quando l'opera è terminata con facilità si gitta in bronzo;
e questa è l'ultima operazione e la più permanente che abbia la scultura;
imperocché quella ch'è solo di marmo è sottoposta alla rovina, il che non è
del bronzo. Adunque quella pittura fatta in rame che si può, com'è detto
della pittura, levare e porre a par al bronzo, ché quando facevi quell'opera
di cera prima si poteva ancor essa levare e porre, se questa è scultura di
bronzo, quella pittura di rame e di vetro è eternissima. Se il bronzo rimane
nero e bruno, questa pittura è piena di varî e vaghi colori; e di infinite
varietà, delle quali com'è di sopra; se un volesse dire solamente della
pittura in tavola, di questo mi accorderei anch'io con la scultura, dicendo
così: come la pittura è più bella, e di più fantasia, e più copiosa, è la
scultura più durabile, che altro non ha. La scultura con poca fatica mostra
quel che la pittura pare cosa miracolosa, cioè a far parere palpabili le cose
impalpabili, rilevate le cose piane, lontane le cose vicine; in effetto, la
pittura è ornata d'infinite speculazioni, che la scultura non le adopera.
Nessuna comparazione è dall'ingegno, artificio e discorso della pittura a
quello della scultura, che non s'impaccia se non della prospettiva causata
dalla virtú della materia, e non dall'artefice. E se lo scultore dice non
poter racconciare la materia levata di soverchio alla sua opera, come può il
pittore, qui si risponde: che quel che troppo leva, poco intende e non è
maestro; perché s'egli ha in potestà le misure, egli non leverà quello che
non deve. Adunque diremo tal difetto essere dell'operatore e non della
materia. Ma la pittura è di maraviglioso artificio, tutta di sottilissime
speculazioni, delle quali in tutto la scultura n'è privata per essere di
brevissimo discorso. Rispondesi allo scultore, che dice che la sua scienza è
più permanente che la pittura, che tal permanenza è virtú della materia sculta
e non dello scultore; e in questa parte lo scultore non se lo deve attribuire
a sua gloria, ma lasciarla alla natura, creatrice di tale materia.
35. Dello scultore e del pittore.
Lo scultore ha la sua arte di maggior fatica corporale che il pittore, cioè
più meccanica, e di minor fatica mentale, cioè che ha poco discorso rispetto
alla pittura, perché esso scultore solo leva, ed il pittore sempre pone; lo
scultore sempre leva di una materia medesima, e il pittore sempre pone di
varie materie. Lo scultore solo ricerca i lineamenti che circondano la
materia sculta, ed il pittore ricerca i medesimi lineamenti, ed oltre a
quelli ricerca ombra e lume, colore e scorto, delle quali cose la natura ne
aiuta di continuo lo scultore, cioè con ombra e lume e prospettiva, le quali
parti bisogna che il pittore se le acquisti per forza d'ingegno e si converta
in essa natura, e lo scultore le trova di continuo fatte. E se tu dirai: egli
è alcuno scultore che intende quello che intende il pittore, io ti rispondo
che donde lo scultore intende le parti del pittore, ch'esso è pittore, e dove
esso non le intende, ch'egli è semplice scultore. Ma il dipintore ha di
bisogno sempre d'intendere la scultura, cioè il naturale, che ha il rilievo
che per sé genera chiaro e scuro e scorto. E per questo molti ritornano alla
natura per non essere scienziati in tale discorso d'ombre e lume e
prospettiva, e per questo ritrattano il naturale, perché solo tal ritrarre ne
ha messo in uso, senza altra scienza o discorso di natura in tal proposito. E
di questi ce n'è alcuni che per vetri ed altre carte o veli trasparenti
riguardano le cose fatte dalla natura, e quivi nella superficie delle
trasparenze le profilano, e quelle colle regole della proporzionalità le
circondano di profili, crescendole alcuna volta dentro a tali profili,
l'occupano di chiaro scuro, notando il sito, la quantità e figura d'ombre e
lumi. Ma questo è da essere laudato in quelli che sanno fare di fantasia
appresso gli effetti di natura, ma sol usano tali discorsi per levarsi alquanto
di fatica e per non mancare in alcuna particola della vera imitazione di
quella cosa, che con precisione si deve far somigliare. Ma questa tale
invenzione è da essere vituperata in quelli che non sanno per sé ritrarre, né
discorrere coll'ingegno loro, perché con tale pigrizia sono distruttori del
loro ingegno, né mai sanno operare cosa alcuna buona senza tale aiuto; e
questi sempre sono poveri e meschini d'ogni loro invenzione o componimento di
storie, la qual cosa è il fine di tale scienza, come a suo luogo sarà
dimostrato.
36. Comparazione della pittura alla scultura.
La pittura è di maggior discorso mentale e di maggiore artificio e maraviglia
che la scultura, conciossiaché necessità costringe la mente del pittore a
trasmutarsi nella propria mente di natura, e a farsi interprete infra essa
natura e l'arte, comentando con quella le cause delle sue dimostrazioni
costrette dalla sua legge, ed in che modo le similitudini degli obietti
circostanti all'occhio concorrano co' veri simulacri alla pupilla dell'occhio,
e infra gli obietti eguali in grandezza quale si dimostrerà maggiore ad esso
occhio, e infra i colori eguali qual si dimostrerà più o meno oscuro, o più o
men chiaro; e infra le cose di eguale bassezza, quale si dimostrerà più o men
bassa; e di quelle che sono poste in altezza eguale, quale si dimostrerà più
o meno alta; e degli obietti eguali posti in varie distanze, perché si
dimostreranno men noti l'un che l'altro. E tale arte abbraccia e restringe in
sé tutte le cose visibili, il che far non può la povertà della scultura, cioè
i colori di tutte le cose e loro diminuzioni. Questa figura le cose
trasparenti, e lo scultore ti mostrerà le naturali senza suo artifizio; il
pittore ti mostrerà varie distanze con variamento del colore dell'aria interposta
fra gli obietti e l'occhio; egli le nebbie, per le quali con difficoltà
penetrano le specie degli obietti; egli le pioggie, che mostrano dopo sé i
nuvoli con monti e valli; egli la polvere che mostrano in sé e dopo sé i
combattenti di essa motori; egli i fumi più o men densi; questo ti mostrerà i
pesci scherzanti infra la superficie delle acque e il fondo loro; egli le
pulite ghiaie con varî colori posarsi sopra le lavate arene del fondo de'
fiumi circondati delle verdeggianti erbe dentro alla superficie dell'acqua;
egli le stelle in diverse altezze sopra di noi, e cosí altri innumerabili
effetti, ai quali la scultura non aggiunge. Dice lo scultore che il basso
rilievo è di specie di pittura; questo in parte si accetterebbe in quanto al
disegno, perché partecipa di prospettiva; ma in quanto alle ombre e lumi, è
falso in scultura e in pittura, perché le ombre di esso basso rilievo non
sono della natura del tutto rilievo, come sono le ombre degli scorti, che non
ha l'oscurità della pittura o scultura tonda: ma questa arte è una mistione
di pittura e scultura.
Manca la scultura della bellezza de' colori, manca della prospettiva de'
colori, manca della prospettiva e confusione de' termini delle cose remote
all'occhio; imperocché cosí farà cogniti i termini delle cose propingue come
delle remote; non farà l'aria interposta infra l'obietto remoto e l'occhio
occupare più esso obietto che l'obietto vicino; non farà i corpi lucidi e
trasparenti come le figure velate che mostrano la nuda carne sotto i veli a
quella anteposti; non farà la minuta ghiaia di varî colori sotto la
superficie delle trasparenti acque.
La pittura è di maggior discorso mentale che la scultura, e di maggiore
artificio; conciossiaché la scultura non è altro che quel ch'ella pare, cioè
nell'essere corpo rilevato, e circondato di aria, e vestito da superficie
oscura e chiara, come sono gli altri corpi naturali; e l'artificio è condotto
da due operatori, cioè dalla natura e dall'uomo; ma molto è maggiore quello
della natura; conciossiaché s'ella non soccorresse tale opera con ombre più o
meno oscure, e con i lumi più o men chiari, tale operazione sarebbe tutta di
un colore chiaro e scuro a similitudine di una superficie piana. E oltre
questo vi si aggiunge l'adiutorio della prospettiva, la quale co' suoi scorti
aiuta a voltare la superficie muscolosa de' corpi a' diversi aspetti,
occupando l'un muscolo l'altro con maggiore o minore occupazione. Qui
risponde lo scultore e dice: s'io non facessi tali muscoli, la prospettiva
non me li scorterebbe; al quale si risponde: se non fosse l'aiuto del chiaro
e scuro, tu non potresti fare tali muscoli, perché tu non li potresti vedere.
Dice lo scultore ch'egli è esso che fa nascere il chiaro e lo scuro col suo
levare dalla materia sculta; rispondesi, che non egli ma la natura fa
l'ombra, e non l'arte, e che s'egli scolpisse nelle tenebre, non vedrebbe
nulla, perché non vi è varietà, né anco nelle nebbie circondanti la materia
sculta con eguale chiarezza, non si vedrebbe altro che i termini della
materia sculta ne' termini della nebbia che con lei confina. E dimando a te,
scultore, perché tu non conduci opere a quella perfezione in campagna,
circondate da uniforme lume universale dell'aria, come tu fai ad un lume
particolare che di alto discenda alla luminazione della tua opera? E se tu
fai nascere l'ombra a tuo beneplacito, nel levare della materia, perché non
la fai medesimamente nascere nella materia sculta al lume universale, come tu
fai nel lume particolare? Certo tu t'inganni, ché egli è altro maestro che fa
esse ombre e lumi, al quale tu famiglio però pari la materia dov'egli imprime
essi accidenti. Sicché non ti gloriare delle altrui opere; a te sol bastano
le lunghezze e grossezze delle membra di qualunque corpo e le loro
proporzioni, e questa è tua arte; il resto, ch'è il tutto, è fatto dalla
natura, maggior maestro di te. Dice lo scultore che farà di basso rilievo, e
che mostrerà per via di prospettiva quel che non è in atto; rispondesi, che
la prospettiva è membro della pittura, e che in questo caso lo scultore si fa
pittore, come si è dimostrato innanzi.
37. Escusazione dello scultore.
Dice lo scultore, che s'esso leva più marmo che non deve, non può
ricorreggere il suo errore, come fa il pittore; al quale si risponde, che chi
leva più che non deve non è maestro, perché maestro si dimanda quello che ha
vera scienza della sua operazione. Risponde lo scultore, che lavorando il
marmo si scopre una rottura, che ne fu causa essa e non il maestro di tale
errore; rispondesi tale scultore essere in questo caso come il pittore a cui
si rompe ed offende la tavola donde egli dipinge.
Dice lo scultore che non può fare una figura, che non ne faccia infinite per
gl'infiniti termini che hanno le quantità continue; rispondesi, che
gl'infiniti termini di tal figura si riducono in due mezze figure, cioè una
mezza dal mezzo indietro, e l'altra mezza dal mezzo innanzi; le quali,
essendo ben proporzionate, compongono una figura tonda, e queste tali mezze
avendo i loro debiti rilievi in tutte le loro parti, risponderanno per sé senz'altro
magistero per tutte le infinite figure che tale scultore dice aver fatte; che
il medesimo si può dire da uno che faccia un vaso al torno, perché ancora
egli può mostrare il suo vaso per infiniti aspetti. Ma che può fare lo
scultore, che gli accidenti naturali al continuo non lo soccorrino in tutti i
necessari ed opportuni casi, il quale aiuto è privato d'inganno; e questo è
il chiaro scuro, che i pittori dimandano lume ed ombra, i quali il pittore
con grandissima speculazione da sé generatili, con le medesime quantità e
qualità e proporzioni aiutandosi, che la natura senza ingegno dello scultore
aiuta la scultura, e la medesima natura aiuta tale artefice con le debite
diminuzioni, colle quali la prospettiva per sé produce naturalmente senza
discorso dello scultore; la quale scienza fa bisogno che il pittore col suo
ingegno si acquisti. Dirà lo scultore fare opere più eterne che il pittore;
qui si risponde essere virtù della materia sculta e non dello scultore, che
la scolpisce; e se il pittore dipinge in terra cotta co' vetri, l'opera sua
sarà più eterna che la scultura.
38. Dell'obbligo che ha la scultura col lume, e non la pittura.
Se la scultura avrà il lume di sotto parrà cosa mostruosa e strana; questo
non accade alla pittura, che tutte le parti porta con sé.
39. Differenza ch'è dalla pittura alla scultura.
La prima maraviglia che apparisce nella pittura è il parere spiccata dal muro
od altro piano, ed ingannare i sottili giudizi con quella cosa che non è
divisa dalla superficie della parete; qui in questo caso lo scultore fa le
opere sue che tanto paiono quanto elle sono, e qui è la causa che il pittore
bisogna che faccia l'ufficio della notizia nelle ombre, che sieno compagne
de' lumi. Allo scultore non bisogna tale scienza, perché la natura aiuta le
sue opere, com'essa fa ancora a tutte le altre cose corporee, dalle quali
tolta la luce sono di un medesimo colore, e renduta loro la luce, sono di
varî colori, cioè chiaro e scuro. La seconda cosa che al pittore con gran
discorso bisogna, è che con sottile investigazione ponga le vere qualità e
quantità delle ombre e lumi; qui la natura per sé le mette nelle opere dello
scultore. Terza è la prospettiva, investigazione ed invenzione sottilissima
degli studi matematici, la quale per forza di linee fa parere remoto quel
ch'è vicino, e grande quel ch'è picciolo; qui la scultura è aiutata dalla
natura in questo caso, e fa senza invenzione dello scultore.
40. Della pittura e della poesia.
Per fingere le parole la poesia supera la pittura, e per fingere fatti la
pittura supera la poesia, e quella proporzione ch'è dai fatti alle parole,
tal è dalla pittura ad essa poesia, perché i fatti sono subietto dell'occhio,
e le parole subietto dell'orecchio, e cosí i sensi hanno la medesima
proporzione infra loro, quale hanno i loro obietti infra se medesimi, e per
questo giudico la pittura essere superiore alla poesia. Ma per non sapere i
suoi operatori dire la sua ragione, è restata lungo tempo senza avvocati,
perché essa non parla, ma per sé si dimostra e termina ne' fatti; e la poesia
finisce in parole, con le quali come briosa se stessa lauda.>
*( Nel codice si legge la seguente annotazione: "Questo capitolo Della
pittura e della poesia è stato ritrovato dopo avere scritto tutto il libro.
Però mi pare sarebbe bene s'ei seguisse dietro il capitolo: Quale scienza è
meccanica e quale non è meccanica." Poi, scritte con inchiostro diverso,
si trovano la parole: "più tosto dietro al capitolo: Arguizione del
poeta contro il pittore, ovvero dietro al seguente.")
TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)
Primo volume
PARTE SECONDA
Capitoli da 40 a 130
41. Del primo principio della scienza della pittura.
Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo è la linea,
il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che si veste di tal
superficie; e questo è quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si
finge, perché invero la pittura non si estende piú oltre che la superficie,
per la quale si finge il corpo figura di qualunque cosa evidente.
42. Principio della scienza della pittura.
La superficie piana ha tutto il suo simulacro in tutta l'altra superficie
piana che le sta per obietto. Provasi, e sia rs la prima superficie piana, e
oq sia la seconda superficie piana posta a riscontro alla prima; dico:
ch'essa prima superficie rs è tutta in oq superficie e tutta in o e tutta in
q e tutta in p, perché rs è bassa dall'angolo o e dall'angolo p e cosí
d'infiniti angoli fatti in oq.
43. Del secondo principio della pittura.
Il secondo principio della pittura è l'ombra del corpo, che per lei si finge,
e di questa ombra daremo i principî, e con quelli procederemo nell'isculpire
la predetta superficie.
44. In che si estende la scienza della pittura.
La scienza della pittura si estende in tutti i colori delle superficie e
figure dei corpi da quelle vestiti, ed alle loro propinquità e remozioni con
i debiti gradi di diminuzione secondo i gradi delle distanze; e questa
scienza è madre della prospettiva, cioè linee visuali. La qual prospettiva si
divide in tre parti, e di queste la prima contiene solamente i lineamenti de'
corpi; la seconda tratta della diminuzione de' colori nelle diverse distanze;
la terza, della perdita della congiunzione de' corpi in varie distanze. Ma la
prima, che sol si estende ne' lineamenti e termini de' corpi, è detta
disegno, cioè figurazione di qualunque corpo. Da questa esce un'altra scienza
che si estende in ombra e lume, o vuoi dire chiaro e scuro; la quale scienza
è di gran discorso; ma quella delle linee visuali ha partorito la scienza
dell'astronomia, la quale è semplice prospettiva, perché sono tutte linee
visuali e piramidi tagliate.
45. Quello che deve prima imparare il giovane.
Il giovane deve prima imparare prospettiva; poi le misure d'ogni cosa; poi di
mano di buon maestro, per assuefarsi a buone membra; poi dal naturale, per
confermarsi la ragione delle cose imparate; poi vedere un tempo le opere di
mano di diversi maestri; poi far abito a mettere in pratica ed operare l'arte.
46. Quale studio deve essere ne' giovani.
Lo studio de' giovani, i quali desiderano di professionarsi 13 nelle scienze
imitatrici di tutte le figure delle opere di natura, dev'essere circa il
disegno accompagnato dalle ombre e lumi convenienti al sito dove tali figure
sono collocate.
47. Quale regola si deve dare a' putti pittori.
Noi conosciamo chiaramente che la vista è delle piú veloci operazioni che
sieno, ed in un punto vede infinite forme; nientedimeno non comprende se non
una cosa per volta. Poniamo caso, tu, lettore, guardi in una occhiata tutta
questa carta scritta, e subito giudicherai questa esser piena di varie
lettere; ma non conoscerai in questo tempo che lettere sieno, né che vogliano
dire; onde ti bisogna fare a parola a parola, verso per verso, a voler avere
notizia d'esse lettere. Ancora, se vorrai montare all'altezza d'un edifizio,
converratti salire a grado a grado, altrimenti sarà impossibile pervenire
alla sua altezza. E cosí dico a te che la natura volge a quest'arte: se vuoi aver
vera notizia delle forme delle cose, comincierai dalle particole di quelle, e
non andare alla seconda, se prima non hai bene nella memoria e nella pratica
la prima. E se farai altrimenti, getterai via il tempo, o veramente
allungherai assai lo studio. E ricordoti che impari prima la diligenza che la
prestezza.
48. Della vita del pittore nel suo studio.
Acciocché la prosperità del corpo non guasti quella dell'ingegno, il pittore
ovvero disegnatore dev'essere solitario, e massime quanto è intento alle speculazioni
e considerazioni, che continuamente apparendo dinanzi agli occhi danno
materia alla memoria di essere bene riservate. E se tu sarai solo, tu sarai
tutto tuo, e se sarai accompagnato da un solo compagno, sarai mezzo tuo, e
tanto meno quanto sarà maggiore la indiscrezione della sua pratica. E se
sarai con piú, cadrai di piú in simile inconveniente; e se tu volessi dire:
io farò a mio modo, io mi ritrarrò in parte per poter meglio speculare le
forme delle cose naturali, dico questo potersi mal fare perché non potresti
fare che spesso non prestassi orecchio alle loro ciancie. E non si può
servire a due signori; tu faresti male l'ufficio del compagno e peggio
l'effetto della speculazione dell'arte. E se tu dirai: io mi trarrò tanto in
parte, che le loro parole non perverranno e non mi daranno impaccio, io in
questo ti dico che saresti tenuto matto, ma vedi che cosí facendo tu saresti
pur solo?
49. Notizia del giovane disposto alla pittura.
Molti sono gli uomini che hanno desiderio ed amore al disegno, ma non
disposizione, e questo sarà conosciuto ne' putti, i quali sono senza
diligenza, e mai finiscono con ombre le loro cose.
50. Precetto.
Non è laudabile quel pittore che non fa bene se non una cosa sola, come un
nudo, testa, panni, o animali, o paesi, o simili particolari, imperocché non
è sí grosso ingegno, che voltatosi ad una cosa sola, e quella sempre messa in
opera, non la faccia bene.
51. In che modo deve il giovane procedere nel suo studio.
La mente del pittore si deve del continuo trasmutare in tanti discorsi quante
sono le figure degli obietti notabili che dinanzi gli appariscono, ed a
quelle fermare il passo e notarle, e far sopra esse regole, considerando il
luogo, le circostanze, i lumi e le ombre.
52. Del modo di studiare.
Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica nata da essa scienza. Il
pittore deve studiare con regola, e non lasciare cosa che non si metta alla
memoria, e vedere che differenza è fra le membra degli animali e le loro
giunture.
53. A che similitudine dev'essere l'ingegno del pittore.
L'ingegno del pittore vuol essere a similitudine dello specchio, il quale
sempre si trasmuta nel colore di quella cosa ch'egli ha per obietto, e di
tante similitudini si empie, quante sono le cose che gli sono contrapposte.
Adunque conoscendo tu pittore non potere esser buono se non sei universale
maestro di contraffare colla tua arte tutte le qualità delle forme che
produce la natura, le quali non saprai fare se non le vedi e le ritrai nella
mente, onde, andando tu per campagne, fa che il tuo giudizio si volti a' varî
obietti, e di mano in mano riguarda or questa cosa, or quella, facendo un
fascio di varie cose elette e scelte infra le men buone. E non fare come
alcuni pittori, i quali, stanchi colla lor fantasia, dimetton l'opera, e fanno
esercizio coll'andare a spasso, riservandosi una stanchezza nella mente, la
quale, non che vogliano por mente a varie cose, ma spesse volte,
incontrandosi negli amici e parenti, essendo da quelli salutati, non che li
vedano o sentano, non altrimenti sono conosciuti come se non li scontrassero.
54. Del giudizio del pittore.
Tristo è quel maestro del quale l'opera avanza il giudizio suo. E quello si
drizza alla perfezione dell'arte, del quale l'opera è superata dal giudizio.
55. Discorso de' precetti del pittore.
Io ho veduto universalmente a tutti quelli che fan professione di ritrarre
volti al naturale, che quel che fa piú somigliare è piú tristo componitore
d'istorie che nessun altro pittore. E questo nasce perché quel che fa meglio
una cosa gli è manifesto che la natura lo ha piú disposto a quella tal cosa
che ad un'altra e per questo n'ha avuto piú amore, ed il maggior amore lo ha
fatto piú diligente; e tutto l'amore ch'è posto a una parte manca al tutto,
perché s'è unito tutto il suo diletto in quella cosa sola, abbandonando
l'universale pel particolare. Essendo la potenza di tale ingegno ridotta in
poco spazio, non ha potenza nella dilatazione, e fa questo ingegno a
similitudine dello specchio concavo, il quale pigliando i raggi del sole,
quando riflette essa quantità di raggi in maggiore somma di dilatazione, li
rifletterà con piú tepida caldezza, e quando esso le riflette tutti in minore
luogo, allora tali raggi sono d'immensa caldezza, ma adopera in poco luogo.
Tal fanno questi tali pittori non amando altra parte della pittura che il
solo viso dell'uomo; e peggio è che non conoscono altra parte nell'arte di
che essi facciano stima, o che abbiano giudizio, e le loro cose essendo senza
movimento, per essere ancora loro pigri e di poco moto, biasimano quella cosa
che ha i movimenti maggiori e piú pronti di quelli che sono fatti da lui;
dicendo quelli parere spiritati e maestri di moresche. Vero è che si deve
osservare il decoro, cioè che i movimenti sieno annunziatori del moto
dell'animo del motore, cioè se si ha a figurare uno ch'abbia a dimostrare una
timorosa reverenza, ch'ella non sia fatta con tale audacia e prosunzione che
tale effetto paia disperazione, o che faccia un comandamento, come io vidi a
questi giorni un angelo che pareva nel suo annunziare che volesse cacciare la
Nostra Donna dalla sua camera, con movimenti che dimostravano tanto
d'ingiuria, quanto far si potesse a un vilissimo nimico. E la Nostra Donna
parea che si volesse, come disperata, gettarsi giú da una finestra. Sicché
siati a memoria di non cadere in tali difetti.
Di questa cosa io non farò scusa con nessuno, perché se un fa credere che io
dica a lui, perché ciascuno che fa a suo modo si condanna, e pargli far bene,
e questo conoscerai in quelli che fanno una pratica senza mai pigliar
consiglio dalle opere di natura, e solo son vòlti a fare assai, e per un
soldo piú di guadagno la giornata cucirebbero piú presto scarpe che
dipingere. Ma di questi non mi estendo in piú lungo discorso, perché non li
accetto nell'arte, figliuola della natura. Ma per parlar de' pittori e loro
giudizi, dico che a quello che troppo muove le sue figure gli pare che quello
che le muove quanto si conviene faccia figure addormentate, e quello che le
muove poco, gli pare che quello che fa il debito e conveniente movimento
sieno spiritate. E per questo il pittore deve considerare i modi di quegli
uomini che parlano insieme freddamente o caldamente, ed intendere la materia
di che parlano, e vedere se gli atti sono appropriati alle materie loro.
Il pittore dev'essere solitario e considerar ciò ch'esso vede e parlare con
sé eleggendo le parti piú eccellenti delle specie di qualunque cosa egli
vede; facendo a similitudine dello specchio, il quale si tramuta in tanti
colori, quanti sono quelli delle cose che gli si pongono dinanzi; e facendo
cosí, gli parrà essere seconda natura.
56. Precetto del pittore.
Se tu, pittore, t'ingegnerai di piacere ai primi pittori, tu farai bene la
tua pittura, perché sol quelli sono che con verità ti potran sindacare. Ma se
tu vorrai piacere a quelli che non son maestri, le tue pitture avranno pochi
scorti, e poco rilievo, o movimento pronto, e per questo mancherai in quella
parte di che la pittura è tenuta arte eccellente, cioè del far rilevare quel
ch'è nulla in rilievo. E qui il pittore avanza lo scultore, il quale non dà
maraviglia di sé in tale rilievo, essendo fatto dalla natura quel che il
pittore colla sua arte si acquista.
57. Precetti del pittore.
Quello non sarà universale che non ama egualmente tutte le cose che si
contengono nella pittura; come se uno non gli piace i paesi, esso stima
quelli esser cosa di breve e semplice investigazione, come disse il nostro
Botticella, che tale studio era vano, perché col solo gettare di una spugna
piena di diversi colori in un muro, essa lascia in esso muro una macchia,
dove si vede un bel paese. Egli è ben vero che in tale macchia si vedono
varie invenzioni di ciò che l'uomo vuole cercare in quella, cioè teste
d'uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli e boschi ed altre
simili cose; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere
quelle dire quel che a te pare. Ma ancora ch'esse macchie ti dieno
invenzione, esse non t'insegnano finire nessun particolare. E questo tal
pittore fece tristissimi paesi.
58. Dell'essere universale nelle sue opere.
Tu, pittore, per essere universale e piacere a' diversi giudizi, farai in un
medesimo componimento che vi siano cose di grande oscurità e di gran dolcezza
di ombre, facendo però note le cause di tali ombre e dolcezze.
59. Precetto.
Quel pittore che non dubita, poco acquista. Quando l'opera supera il giudizio
dell'operatore, esso operante poco acquista. E quando il giudizio supera
l'opera, essa opera mai finisce di migliorare, se l'avarizia non l'impedisce.
60. Precetti del pittore.
Il pittore deve prima suefare la mano col ritrarre disegni di mano de' buoni
maestri, e fatta detta suefazione col giudizio del suo precettore, deve di
poi suefarsi col ritrarre cose di rilievo buone, con quelle regole che del
ritrar di rilievo si dirà.
61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure.
Il bozzar delle storie sia pronto, e il membrificare non sia troppo finito;
sta contento solamente a' siti di esse membra, le quali poi a bell'agio
piacendoti potrai finire.
62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti.
Ricordo a te, pittore, che quando col tuo giudizio o per altrui avviso scopri
alcuni errori nelle opere tue, che tu li ricorregga, acciocché nel pubblicare
tale opera tu non pubblichi insieme con quella la materia tua; e non ti
scusare con te medesimo, persuadendoti di restaurare la tua infamia nella
succedente tua opera, perché la pittura non muore immediate dopo la sua
creazione come fa la musica, ma lungo tempo darà testimonianza dell'ignoranza
tua. E se tu dirai che per ricorreggere ci vuol tempo, mettendo il quale in
un'altra opera tu guadagneresti assai, tu hai ad intendere che la pecunia
guadagnata soprabbondante all'uso del nostro vivere non è molta, e se tu ne
vuoi in abbondanza, tu non la finisci di adoperare, e non è tua; e tutto il
tesoro che non si adopera è nostro a un medesimo modo; e ciò che tu guadagni
che non serve alla vita tua è in man d'altri senza tuo grado. Ma se tu
studierai e ben limerai le opere tue col discorso delle due prospettive, tu
lascierai opere che ti daranno piú onore che la pecunia, perché essa sola per
sé si onora e non colui che la possiede, il quale sempre si fa calamita
d'invidia e cassa di ladroni, e manca la fama del ricco insieme colla sua
vita, resta la fama del tesoro e non del tesaurizzante. E molto maggior
gloria è quella della virtú de' mortali, che quella dei loro tesori. Quanti
imperatori e quanti principi sono passati che non ne resta alcuna memoria,
perché solo cercarono gli stati e ricchezze per lasciare fama di loro? Quanti
furono quelli che vissero in povertà di danari per arricchire di virtú? E
tanto piú è riuscito tal desiderio al virtuoso che al ricco, quanto la virtú
eccede essa ricchezza. Non vedi tu che il tesoro per sé non lauda il suo
cumulatore dopo la sua vita, come fa la scienza, la quale sempre è testimone
e tromba del suo creatore, perché ella è figliuola di chi la genera, e non
figliastra com'è la pecunia? E se tu dirai poter satisfare piú a' tuoi
desiderî della gola e lussuria mediante esso tesoro e non per la virtú, va
considerando gli altri che sol han servito ai sozzi desiderî del corpo, come
gli altri brutti animali; qual fama resta di loro? E se tu ti scuserai, per
avere a combattere colla necessità, non avere tempo a studiare, e farti vero
nobile, non incolpare se non te medesimo; perché solo lo studio della virtú è
pasto dell'anima e del corpo. Quanti sono i filosofi nati ricchi che hanno
diviso i tesori da sé, per non essere vituperati da quelli! E se tu ti
scusassi co' figliuoli, che ti bisogna nutrire, piccola cosa basta a quelli,
ma fa che il nutrimento sieno le virtú, le quali sono fedeli ricchezze,
perché quelle non ci lasciano se non insieme colla vita. E se tu dirai che
vuoi far prima un capitale di pecunia, che sia dote della vecchiezza tua,
questo studio mai mancherà, e non ti lascierà invecchiare, e il ricettacolo
delle virtú sarà pieno di sogni e vane speranze.
Nessuna cosa è che piú c'inganni che il nostro giudizio se s'adopera nel dare
sentenza delle nostre operazioni; esso è buono nel giudicare le cose de'
nimici e degli amici no, perché odio e amicizia sono due de' piú potenti
accidenti che sieno appresso agli animali. E per questo tu, o pittore, sii
vago di non sentire men volentieri quello che i tuoi avversari dicono delle
tue opere, che del sentire quello che dicono gli amici, perché è piú potente
l'odio che l'amore, perché esso odio ruina e distrugge l'amore. Se chi ti
giudica è vero amico, egli è un altro te medesimo. Il contrario trovi nel
nimico, e l'amico si potrebbe ingannare. Evvi poi una terza specie di
giudizi, che mossi d'invidia partoriscono l'adulazione che lauda il principio
delle buone opere, acciocché la bugia accechi l'operatore.
63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni.
Non resterò di mettere fra questi precetti una nuova invenzione di
speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno
è di grande utilità a destare l'ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu
riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o in pietre di varî
misti. Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai lí vedere similitudini di
diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure grandi,
valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie ed atti
pronti di figure strane, arie di volti ed abiti ed infinite cose, le quali tu
potrai ridurre in integra e buona forma; che interviene in simili muri e
misti, come del suono delle campane, che ne' loro tocchi vi troverai ogni
nome e vocabolo che tu t'immaginerai.
Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia
grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de' muri, o nella
cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne' quali, se
ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che
destano l'ingegno del pittore a nuove invenzioni sí di componimenti di
battaglie, d'animali e d'uomini, come di varî componimenti di paesi e di cose
mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti
onore; perché nelle cose confuse l'ingegno si desta a nuove invenzioni. Ma fa
prima di sapere ben fare tutte le membra di quelle cose che vuoi figurare,
cosí le membra degli animali come le membra de' paesi, cioè sassi, piante e
simili.
64. Dello studiare insino quando ti desti, o innanzi tu ti dormenti nel letto allo scuro.
Ancora ho provato essere di non poca utilità, quando ti trovi allo scuro nel
letto, andare colla immaginativa ripetendo i lineamenti superficiali delle
forme per l'addietro studiate, o altre cose notabili da sottile speculazione
comprese, ed è questo proprio un atto laudabile ed utile a confermarsi le
cose nella memoria.
65. Piacere del pittore.
La deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si
trasmuta in una similitudine di mente divina; imperocché con libera potestà
discorre alla generazione di diverse essenze di varî animali, piante, frutti,
paesi, campagne, ruine di monti, luoghi paurosi e spaventevoli, che danno
terrore ai loro risguardatori, ed ancora luoghi piacevoli, soavi e
dilettevoli di fioriti prati con varî colori, piegati da soavi onde de' soavi
moti de' venti, riguardando dietro al vento che da loro si fugge; fiumi
discendenti cogli empiti de' gran diluvi dagli alti monti, che si cacciano innanzi
le diradicate piante, miste co' sassi, radici, terra e schiuma, cacciandosi
innanzi ciò che si contrappone alla loro ruina; ed il mare colle sue procelle
contende e fa zuffa co' venti, che con quella combattono, levandosi in alto
colle superbe onde, e cade, e di quelle ruinando sopra del vento che percuote
le sue basse; e loro richiudendo e incarcerando sotto di sé, quello straccia
e divide, mischiandolo colle sue torbide schiume, con quello sfoga
l'arrabbiata sua ira, ed alcuna volta superato dai venti si fugge dal mare
scorrendo per le alte ripe de' vicini promontorî, dove, superate le cime de'
monti, discende nelle opposite valli, e parte se ne mischia in aere, predata
dal furore de' venti, e parte ne fugge dai venti ricadendo in pioggia sopra
del mare, e parte ne discende ruinosamente dagli alti promontorî, cacciandosi
innanzi ciò che si oppone alla sua ruina, e spesso si scontra nella
sopravegnente onda, e con quella urtandosi si leva al cielo, empiendo l'aria
di confusa e schiumosa nebbia, la quale ripercossa dai venti nelle sponde de'
promontorî genera oscuri nuvoli, i quali si fan preda del vento vincitore.
66. De' giuochi che debbono fare i disegnatori.
Quando vorrete, o voi disegnatori, pigliare da' giuochi qualche utile
sollazzo, è da usare sempre cose al proposito della vostra professione, cioè
del fare buon giudizio di occhio, del saper giudicare la verità delle
larghezze e lunghezze delle cose; e per assuefare lo ingegno a simili cose
faccia uno di voi una linea retta a caso su un muro, e ciascuno di voi tenga
una sottile festuca, o paglia in mano, e ciascuno tagli la sua alla lunghezza
che gli pare abbia la prima linea, stando lontani per ispazio di dieci
braccia, e poi ciascuno vada all'esempio a misurare con quella la sua
giudiziale misura; e quello che piú si avvicina colla sua misura alla
lunghezza dell'esempio sia superiore e vincitore ed acquisti da tutti il
premio che innanzi da voi fu ordinato. Ancora si deve pigliare misure
scortate, cioè pigliare un dardo o canna, e riguardare dinanzi ad essa una
certa distanza, e ciascuno col suo giudizio stimi quante volte quella misura
entri in quella distanza; ed ancora chi tira meglio una linea d'un braccio, e
sia provata con filo tirato. E simili giuochi sono cagione di fare buon
giudizio d'occhio, il quale è il principale atto della pittura.
67. Che si deve prima imparare la diligenza che la presta pratica.
Quando tu, disegnatore, vorrai far buono ed utile studio, usa nel tuo
disegnare di fare adagio; e giudicare infra i lumi quali e quanti tengano il
primo grado di chiarezza, e similmente infra le ombre quali sieno quelle che
sono più scure che le altre, ed in che modo si mischiano insieme, e le
quantità; e paragonare l'una coll'altra, ed i lineamenti a che parte si
drizzino, e nelle linee quanta parte di esse torce per l'uno o l'altro verso,
e dove è più o meno evidente, e così larga o sottile; ed in ultimo che le tue
ombre e lumi sieno uniti senza tratti o segni ad uso di fumo. E quando tu
avrai fatto la mano e il giudizio a questa diligenza, verratti fatta tanto
presto la pratica che tu non te ne avvedrai.
68. S'egli è meglio disegnare in compagnia o no.
Dico e confermo che il disegnare in compagnia è molto meglio che solo, per
molte ragioni. La prima è che tu ti vergognerai di esser visto nel numero dei
disegnatori essendo insufficiente, e questa vergogna sarà cagione di buono
studio; secondariamente, la invidia buona ti stimolerà ad essere nel numero
de' più laudati di te, ché l'altrui laude ti spronerà; l'altra è che tu
piglierai degli atti di chi farà meglio di te; e se sarai meglio degli altri,
farai profitto di schivare i mancamenti, e l'altrui laude accrescerà la tua
virtù.
69. Modo di bene imparare a mente.
Quando tu vorrai sapere una cosa studiata bene a mente, tieni questo modo: cioè
quando tu hai disegnato una cosa medesima tante volte che ti paia averla a
mente, prova a farla senza lo esempio; ed abbi lucidato sopra un vetro
sottile e piano lo esempio suo, e lo porrai sopra la cosa che hai fatto senza
lo esempio; e nota bene dove il lucido non si scontra col disegno tuo; e dove
trovi avere errato, lí tieni a mente di non errare più, anzi ritorna
all'esempio a ritrarre tante volte quella parte errata, che tu l'abbia bene
nella immaginativa. E se per lucidare una cosa tu non potessi avere un vetro
piano, togli una carta di capretto sottilissima e bene unta e poi seccata; e
quando l'avrai adoperata per un disegno, potrai colla spugna cancellarla e
fare il secondo.
70. Come il pittore non è laudabile s'egli non è universale.
Alcuni si può chiaramente dire che s'ingannano, i quali chiamano buon maestro
quel pittore il quale solamente fa bene una testa o una figura. Certo non è
gran fatto che, studiando una sola cosa tutto il tempo della sua vita, non ne
venga a qualche perfezione; ma conoscendo noi che la pittura abbraccia e
contiene in sé tutte le cose che produce la natura, e che conduce
l'accidentale operazione degli uomini, ed in ultimo ciò che si può
comprendere cogli occhi, mi pare un tristo maestro quello che solo una figura
fa bene. Or non vedi tu quanti e quali atti sieno fatti dagli uomini? Non
vedi tu quanti diversi animali, e cosí alberi ed erbe e fiori e varietà di
siti montuosi e piani, fonti, fiumi, città, edifizi pubblici e privati,
strumenti opportuni all'uso umano, varî abiti ed ornamenti ed arti?
Tutte queste cose appartengono di essere di pari operazione e bontà usate da
quello che tu vuoi chiamare buon pittore.
71. Della trista suasione di quelli che falsamente si fanno chiamare pittori.
Vi ha una certa generazione di pittori, i quali per loro poco studio bisogna
che vivano sotto la bellezza dell'oro e dell'azzurro. Con somma stoltizia
allegano costoro non mettere in opera le buone cose per tristi premî, e che
saprebbero ancora loro far bene come un altro quando fossero ben pagati. Or
vedi gente stolta! Non sanno questi tali tenere qualche opera buona dicendo:
questa è da buon premio, e questa è da mezzano, e questa da sorte, e mostrare
d'avere opere d'ogni premio?
72. Come il pittore dev'esser vago di udire, nel fare dell'opera, il giudizio di ognuno.
Certamente non è da ricusare mentre che l'uomo dipinge il giudizio di
ciascuno, perocché noi conosciamo chiaro che l'uomo, benché non sia pittore,
avrà notizia della forma dell'altro uomo, e ben giudicherà s'egli è gobbo o
s'egli ha una spalla alta o bassa, o s'egli ha gran bocca o naso od altri
mancamenti. Se noi conosciamo gli uomini poter con verità giudicare le opere
della natura, quanto maggiormente ci converrà confessare questi poter
giudicare i nostri errori, ché sappiamo quanto l'uomo s'inganna nelle sue
opere; e se non lo conosci in te, consideralo in altrui, e farai profitto
degli altrui errori. Sicché sii vago con pazienza udire l'altrui opinione; e
considera bene e pensa bene se il biasimatore ha cagione o no di biasimarti;
e se trovi di sí, racconcia, e se trovi di no, fa vista di non l'avere
inteso; o, s'egli è uomo che tu stimi, fagli conoscere per ragione ch'egli
s'inganna.
73. Come nelle opere d'importanza l'uomo non si deve mai fidare tanto nella sua memoria, che non degni ritrarre dal naturale.
Quel maestro il quale si desse d'intendere di poter riservare in sé tutte le
forme e gli effetti della natura, certo mi parrebbe che fosse ornato di molta
ignoranza; conciossiacosaché detti effetti sono infiniti, e la memoria nostra
non è di tanta capacità che basti. Adunque tu, pittore, guarda che la
cupidità del guadagno non superi in te l'onore dell'arte, ché il guadagno
dell'onore è molto maggiore che l'onore delle ricchezze. Sicché per queste ed
altre ragioni che si potrebbero dire, attenderai prima col disegno a dare con
dimostrativa forma all'occhio la intenzione e la invenzione fatta in prima
nella tua immaginativa. Dipoi va levando e ponendo tanto, che tu ti
satisfaccia; di poi fa acconciare uomini vestiti o nudi, nel modo che in
sull'opera hai ordinato, e fa che per misura e grandezza sottoposta alla
prospettiva, non passi niente dell'opera che bene non sia considerata dalla
ragione e dagli effetti naturali. E questa sarà la via da farti onorare della
tua arte.
74. Di quelli che biasimano chi disegna alle feste, e che investiga le opere di Dio.
Sono infra il numero degli stolti una certa setta, detti ipocriti, che al
continuo studiano d'ingannare sé ed altri, ma piú altri che sé; ma in vero
ingannano piú loro stessi che gli altri. E questi son quelli che riprendono i
pittori, i quali studiano i giorni delle feste nelle cose appartenenti alla
vera cognizione di tutte le figure che hanno le opere di natura, e con
sollecitudine s'ingegnano di acquistare la cognizione di quelle, quanto a
loro sia possibile. Ma tacciano tali riprensori, ché questo è il modo di
conoscere l'operatore di tante mirabili cose, e questo è il modo di amare un
tanto inventore, perché invero il grande amore nasce dalla gran cognizione
della cosa che si ama, e se tu non la conoscerai, poco o nulla la potrai
amare. E se tu l'ami per il bene che t'aspetti da lei, e non per la somma sua
virtú, tu fai come il cane che mena la coda e fa festa alzandosi verso colui
che gli può dare un osso, ma se conoscesse la virtú di tale uomo l'amerebbe
assai piú, se tal virtú fosse al suo proposito.
75. Delle varietà delle figure.
Il pittore deve cercare d'essere universale, perché gli manca assai dignità
se fa una cosa bene e l'altra male: come molti che solo studiano nel nudo
misurato e proporzionato, e non ricercano la sua varietà; perché può un uomo
essere proporzionato ed esser grosso e corto o lungo e sottile o mediocre, e
chi di questa varietà non tien conto fa sempre le sue figure in stampa, che
pare che sieno tutte sorelle, la qual cosa merita grande riprensione.
76. Dell'essere universale.
Facil cosa è all'uomo che sa, farsi universale, imperocché tutti gli animali
terrestri hanno similitudine di membra, cioè muscoli, nervi ed ossa, e nulla
variano, se non in lunghezza, o in grossezza, come sarà dimostrato
nell'anatomia. Degli animali d'acqua, che sono di molta varietà, e così degli
insetti, non persuaderò il pittore che vi faccia regola, perché sono
d'infinite varietà.
77. Dell'errore di quelli che usano la pratica senza la scienza.
Quelli che s'innamorano della pratica senza la scienza, sono come i nocchieri
che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove
si vadano. Sempre la pratica dev'essere edificata sopra la buona teorica,
della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene.
78. Dell'imitare pittori.
Dico ai pittori che mai nessuno deve imitare la maniera dell'altro, perché
sarà detto nipote e non figliuolo della natura; perché, essendo le cose naturali
in tanta larga abbondanza, piuttosto si deve ricorrere ad essa natura che ai
maestri, che da quella hanno imparato. E questo dico non per quelli che
desiderano mediante quella pervenire a ricchezze, ma per quelli che di tal
arte desiderano fama e onore.
79. Ordine del disegnare.
Ritrai prima disegni di buon maestro fatto sull'arte sul naturale e non di
pratica; poi di rilievo, in compagnia del disegno ritratto da esso rilievo;
poi di buono naturale, il quale devi mettere in uso.
80. Del ritrarre di naturale.
Quando hai da ritrarre di naturale, sta lontano tre volte la grandezza della
cosa che tu ritrai.
81. Del ritrarre una qualunque cosa.
Fa che quando ritrai, o che tu muovi alcun principio di linea, che tu guardi
per tutto il corpo che tu ritrai qualunque cosa si scontra per la dirittura
della principiata linea.
Nota nel tuo ritrarre, come infra le ombre sono ombre insensibili di oscurità
e di figura; e questo si prova per la terza, che dice: le superficie
globulenti sono di tante varie oscurità e chiarezze quante sono le varietà
delle oscurità e chiarezze che loro stanno per obietto.
82. Come deve essere alto il lume da ritrarre di naturale.
Il lume da ritrarre di naturale vuol essere a tramontana, acciò non faccia
mutazione; e se lo fai a mezzodí, tieni finestra impannata, acciocché il sole
illuminando tutto il giorno non faccia mutazione. L'altezza del lume dev'
essere in modo situata, che ogni corpo faccia tanto lunga l'ombra sua per
terra, quanto è a sinistra la sua altezza.
83. Quali lumi si debbono eleggere per ritrarre le figure de' corpi.
Le figure di qualunque corpo ti costringono a pigliar quel lume nel quale tu
fingi essere esse figure: cioè, se tu fingi tali figure in campagna, elle son
cinte da gran somma di lume, non vi essendo il sole scoperto; e se il sole
vede dette figure, le sue ombre saranno molto oscure rispetto alle parti
illuminate, e saranno ombre di termini espediti, cosí le primitive come le
derivative; e tali ombre saranno poco compagne de' lumi, perché da un lato
illumina l'azzurro dell'aria e tinge di sé quella parte ch'essa vede; e
questo assai si manifesta nelle cose bianche: e quella parte ch'è illuminata
dal sole si dimostra partecipare del colore del sole; e questo vedrai molto
speditamente, quando il sole cala all'orizzonte, infra il rossore de' nuvoli,
ch'essi nuvoli si tingono del colore che li illumina; il quale rossore de'
nuvoli, insieme col rossore del sole, fa rosseggiare ciò che piglia lume da
loro; e la parte de' corpi che non vede esso rossore, resta del color
dell'aria; e chi vede tali corpi, giudica quelli essere di due colori; e da
questo tu non puoi fuggire che, mostrando la causa di tali ombre e lumi, tu
non faccia le ombre e i lumi partecipanti delle predette cause, se no
l'operazione tua è vana e falsa. E se la tua figura è in casa oscura, e tu la
vedi di fuori, questa tal figura ha le ombre oscure sfumate, stando tu per la
linea del lume; e questa tal figura ha grazia, e fa onore al suo imitatore
per esser essa di gran rilievo e le ombre dolci e sfumose, e massime in
quella parte dove manco vedi l'oscurità dell'abitazione, imperocché quivi
sono le ombre quasi insensibili; e la cagione sarà detta al suo luogo.
84. Delle qualità del lume per ritrarre rilievi naturali o finti.
Il lume tagliato dalle ombre con troppa evidenza è sommamente biasimato da'
pittori, onde, per fuggire tale inconveniente, se tu dipingi i corpi in
campagna aperta, farai le figure non illuminate dal sole, ma fingerai alcuna
qualità di nebbia o nuvoli trasparenti essere interposti infra l'obietto ed
il sole, onde, non essendo la figura del sole espedita, non saranno espediti
i termini delle ombre co' termini de' lumi.
85. Del ritrarre i nudi.
Quando ritrai i nudi, fa che sempre li ritragga interi, e poi finisci quel
membro che ti par migliore, e quello con le altre membra metti in pratica;
altrimenti faresti uso di non appiccar mai le membra bene insieme. Non usar
mai far la testa volta dove è il petto, né il braccio andare come la gamba: e
se la testa si volta alla spalla destra, fa le sue parti piú basse dal lato
sinistro che dal destro; e se fai il petto infuori, fa che, voltandosi la
testa sul lato sinistro, le parti del lato destro sieno piú alte che le
sinistre.
86. Del ritrarre di rilievo finto o di naturale.
Colui che ritrae di rilievo, si deve acconciare in modo tale, che l'occhio
della figura ritratta sia al pari dell'occhio di quello che ritrae; e questo
si farà ad una testa, la quale tu avessi a ritrarre di naturale, perché
universalmente le figure ovvero persone che scontri per le strade hanno gli
occhi all'altezza de' tuoi, e se tu li facessi o piú alti o piú bassi,
verresti a dissimigliare il tuo ritratto.
87. Modo di ritrarre un sito col vetro
Abbi un vetro grande come un mezzo foglio reale, e quello ferma bene dinanzi
agli occhi tuoi, cioè tra l'occhio e la cosa che tu vuoi ritrarre; poi poniti
lontano con l'occhio al detto vetro due terzi di braccio, e ferma la testa
con un istrumento, in modo che tu non possa muoverla punto. Dipoi serra, o
copriti un occhio, e col pennello o con il lapis a matite segna sul vetro ciò
che di là appare, e poi lucida con carta tal vetro, e spolverizzalo sopra
buona carta, e dipingila, se ti piace, usando bene di poi la prospettiva
aerea.
88. Dove si debbono ritrarre i paesi.
I paesi si debbon ritrarre in modo che gli alberi sieno mezzi illuminati, e
mezzi ombrati; ma meglio è farli quando il sole è occupato da nuvoli, ché
allora gli alberi s'illuminano dal lume universale del cielo e dall'ombra
universale della terra; e questi sono tanto piú oscuri nelle lor parti,
quanto esse parti sono piú vicine al mezzo dell'albero e della terra.
89. Del ritrarre le ombre de' corpi al lume di candela o di lucerna.
A questo lume di notte sia interposto il telaio con carta lucida, o senza
lucidarla, ma solo un intero foglio di cancelleresca; e vedrai le tue ombre
fumose, cioè non terminate; e il lume senza interposizione di carta ti faccia
lume alla carta ove disegni.
90. In che termine si debba ritrarre un volto a dargli grazia d'ombre e lumi.
Grandissima grazia d'ombre e di lumi s'aggiunge ai visi di quelli che seggono
sulle porte di quelle abitazioni che sono oscure, e gli occhi del
riguardatore vedono la parte ombrosa di tali visi essere oscurata dalle ombre
della predetta abitazione, e vedono alla parte illuminata del medesimo viso
aggiunta la chiarezza che le dà lo splendore dell'aria: per la quale
aumentazione di ombre e di lumi il viso ha gran rilievo, e nella parte
illuminata le ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa i lumi quasi insensibili;
e di questa tale rappresentazione e aumentazione d'ombre e di lumi il viso
acquista assai di bellezza.
91. Modo di ritrarre d'ombra semplice e composta.
Non ritrarre una figura in casa col lume particolare finta al lume universale
delle campagne senza sole, perché la campagna fa ombra semplice, e il lume
particolare di finestra o di sole fa ombra composta, cioè mista con riflessi.
92. Del lume dove si ritraggono le incarnazioni de' volti, o ignudi.
Questa abitazione vuol essere scoperta all'aria, con le pareti di colore
incarnato, ed i ritratti si facciano di estate, quando i nuvoli coprono il
sole: o veramente farai la parete meridionale tanto alta, che i raggi del
sole non percuotano la parete settentrionale, acciocché i suoi raggi riflessi
non guastino le ombre.
93. Del ritrarre figure per istorie.
Sempre il pittore deve considerare nella parete che ha da istoriare l'altezza
del sito dove vuole collocare le sue figure; e ciò ch'egli ritrae di naturale
a detto proposito, stare tanto l'occhio più basso che la cosa ch'egli ritrae
quanto detta cosa sarà messa in opera piú alta che l'occhio del riguardatore,
altrimenti l'opera sarà reprobabile.
94. A imparare a far bene un posato.
Se ti vuoi assuefare bene ai retti e buoni posati delle figure, ferma un
quadro ovvero telaio, dentro riquadrato con fila, infra l'occhio tuo e il
nudo che ritrai, e quei medesimi quadri farai sulla carta dove vuoi ritrarre
detto nudo sottilmente; di poi poni una pallottola di cera in una parte della
rete, che ti serva per una mira, la quale sempre nel riguardare il nudo
scontrerai nella fontanella della gola, e se fosse volta di dietro, scontrala
con un nodo del collo; e queste fila t'insegneranno tutte le parti del corpo
che in ciascun atto si trovano sotto la fontanella della gola, sotto gli
angoli delle spalle, sotto le tette, i fianchi ed altre parti del corpo; e le
linee traverse della rete ti mostreranno quanto è piú alto nel posare sopra
una gamba (L'edizione viennese propone l'aggiunta: "l'una delle
spalle." solamente avere da lui le buone attitudini; e le membra
ricorreggi con quelle che studiasti la invernata.) che l'altra, e
così i fianchi, le ginocchia ed i piedi.
Ma ferma sempre la rete per linea perpendicolare, ed in effetto, tutte le
parti che tu vedi che il nudo piglia della rete, fa che il tuo nudo disegnato
pigli della rete disegnata. I quadri disegnati possono essere tanto minori
che quelli della rete, quanto tu vuoi che la tua figura sia minore che la
naturale. Di poi tienti a mente, nelle figure che farai, la regola dello
scontro delle membra come te le mostrò la rete; la quale dev' essere alta tre
braccia e mezzo, e larga tre, distante da te braccia sette, ed appresso al
nudo braccia uno.
95. In qual tempo si deve studiare la elezione delle cose.
Le veglie dell'invernata devono essere dai giovani usate negli studi delle
cose apparecchiate la state, cioè si deve riunire insieme tutti i nudi fatti
nella state, e fare elezione delle migliori membra e migliori corpi e
metterli in pratica e bene a mente.
96. Delle attitudini.
Poi alla seguente state farai elezione di qualcuno che stia bene in sulla
vita, e che non sia allevato in giuppone, acciocché la persona non sia
striata, ed a quello farai fare atti leggiadri e galanti; e se questo non
mostrasse bene i muscoli dentro i termini delle membra, non monta niente;
bastiti
97. Per ritrarre un ignudo dal naturale od altra cosa.
Usa tenere in mano un filo con un piombo pendente, per poter vedere gli
scontri delle cose.
98. Misure o compartizioni della statua.
Dividi la testa in dodici gradi, e ciascun grado dividi in dodici punti, e
ciascun punto in dodici minuti, ed i minuti in minimi, ed i minimi in
semiminimi.
99. Modo di ritrarre di notte un rilievo.
Fa che tu metti una carta non troppo lucida infra il rilievo ed il lume, ed avrai buon ritrarre.
100. Come il pittore si deve acconciare al lume col suo rilievo.
ab sia la finestra, m sia il punto del lume; dico che in qualunque parte il pittore si stia, egli starà bene, purché l'occhio sia infra la parte ombrosa e la luminosa del corpo che si ritrae: il qual luogo troverai ponendoti infra il punto m e la divisione che fa l'ombra dal lume sopra il corpo ritratto.
101. Della qualità del lume.
Il lume grande ed alto e non troppo potente sarà quello che renderà le
particole de' corpi molto grate.
102. Dell'inganno che si riceve nel giudizio delle membra.
Quel pittore che avrà goffe mani, le farà simili nelle sue opere, e cosí
gl'interverrà in qualunque membro, se il lungo studio non glielo vieta.
Adunque tu, pittore, guarda bene quella parte che hai piú brutta nella tua
persona, ed a quella col tuo studio fa buon riparo; imperocché se sarai
bestiale, le tue figure parranno il simile, e senza ingegno, e similmente
ogni parte di buono e di tristo che hai in te si dimostrerà in parte nelle
tue figure.
103. Come al pittore è necessario sapere l'intrinseca forma dell'uomo.
Quel pittore che avrà cognizione della natura de' nervi, muscoli e lacerti,
saprà bene, nel muovere un membro, quanti e quali nervi ne siano cagione, e
qual muscolo, sgonfiando, sia cagione di raccortare esso nervo, e quali corde
convertite in sottilissime cartilagini circondino e ravvolgano detto muscolo;
e così sarà diverso ed universale dimostratore di varî muscoli, mediante i
varî effetti delle figure, e non farà come molti che in diversi atti sempre
fanno quelle medesime cose dimostrare in braccia, schiene, petti e gambe; le
quali cose non si debbono mettere infra i piccoli errori.
104. Del difetto che hanno i maestri di replicare le medesime attitudini de' volti.
Sommo difetto è ne' maestri, i quali usano replicare i medesimi moti nelle
medesime istorie vicini l'uno all'altro, e similmente le bellezze de' visi
essere sempre una medesima, le quali in natura mai si trova essere replicate,
in modo che, se tutte le bellezze di eguale eccellenza ritornassero vive,
esse sarebbero maggior numero di popolo che quello che al nostro secolo si
trova, e siccome in esso secolo nessuno precisamente si somiglia, il medesimo
interverrebbe nelle dette bellezze.
105. Del massimo difetto de' pittori.
Sommo difetto è de' pittori replicare i medesimi moti e medesimi volti e
maniere di panni di una medesima istoria, e fare la maggior parte de' volti
che somigliano al loro maestro, la qual cosa mi ha molte volte dato ammirazione
perché ne ho conosciuto alcuni che in tutte le loro figure pareva si fossero
ritratti al naturale; ed in quelle si vede gli atti e i modi del loro
fattore, e s'egli è pronto nel parlare e ne' moti, le sue figure sono il
simile in prontitudine; e se il maestro è divoto, il simile paiono le figure
co' loro colli torti; e se il maestro è da poco, le sue figure paiono la
pigrizia ritratta al naturale; e se il maestro è sproporzionato, le figure
sue son simili; e s'egli è pazzo, nelle sue istorie si dimostra largamente,
le quali sono nemiche di conclusione, e non stanno attente alle loro
operazioni, anzi, chi guarda in qua, chi in là come se sognassero: e così
segue ciascun accidente in pittura il proprio accidente del pittore. Ed
avendo io piú volte considerato la causa di tal difetto, mi pare che sia da
giudicare che quell'anima che regge e governa ciascun corpo si è quella che
fa il nostro giudizio innanzi sia il proprio giudizio nostro. Adunque essa ha
condotto tutta la figura dell'uomo, come essa ha giudicato quello star bene,
o col naso lungo, o corto, o camuso, e così gli affermò la sua altezza e
figura. Ed è di tanta potenza questo tal giudizio, ch'egli muove le braccia
al pittore e gli fa replicare se medesimo, parendo ad essa anima che quello sia
il suo modo di figurare l'uomo, e chi non fa come lei faccia errore. E se
trova alcuno che somigli al suo corpo, ch'essa ha composto, essa l'ama, e
s'innamora spesso di quello. E per questo molti s'innamorano e prendono
moglie che loro somiglia, e spesso i figliuoli che nascono di tali somigliano
a' loro genitori.
106. Precetto, che il pittore non s'inganni nell'elezione della figura in che esso fa l'abito.
Deve il pittore fare la sua figura sopra la regola d'un corpo naturale, il
quale comunemente sia di proporzione laudabile; oltre di questo far misurare
se medesimo e vedere in che parte la sua persona varia assai o poco da quella
antedetta laudabile; e, avuta questa notizia, deve riparare con tutto il suo
studio di non incorrere ne' medesimi mancamenti nelle figure da lui operate,
che nella persona sua si trovano. E sappi che con questo vizio ti bisogna
sommamente pugnare, conciossiaché egli è mancamento ch'è nato insieme col
giudizio; perché l'anima, maestra del tuo corpo, è quella che è il tuo proprio
giudizio, e volentieri si diletta nelle opere simili a quella che essa operò
nel comporre del suo corpo: e di qui nasce che non è sì brutta figura di
femmina, che non trovi qualche amante, se già non fosse mostruosa; sicché
ricordati d'intendere i mancamenti che sono nella tua persona, e da quelli ti
guarda nelle figure che da te si compongono.
107. Difetto de' pittori che ritraggono una cosa di rilievo in casa a un lume, e poi la mettono in campagna ad altro lume.
Grande errore è di quei pittori, i quali spesse volte ritraggono una cosa di
rilievo a un lume particolare nelle loro case, e poi mettono in opera tal
ritratto a un lume universale dell'aria in campagna, dove tal aria abbraccia
ed illumina tutte le parti delle vedute a un medesimo modo; e così costoro
fanno ombre oscure dove non può essere ombra, e se pure essa vi è, è di tanta
chiarezza, che è insensibile: e così fanno i riflessi dove è impossibile
siansi veduti.
108. Della pittura e sua divisione.
Dividesi la pittura in due parti principali, delle quali la prima è figura,
cioè la linea che distingue la figura de' corpi e loro particole; la seconda
è il colore contenuto da essi termini.
109. Figura e sua divisione.
La figura de' corpi si divide in due altre parti, cioè: proporzionalità delle
parti infra loro, le quali sieno corrispondenti al tutto, e movimento
appropriato all'accidente mentale della cosa viva che si muove.
110. Proporzione di membra.
La proporzione delle membra si divide in due altre parti, cioè: qualità e
moto. Per qualità s'intende, oltre alle misure corrispondenti al tutto, che
tu non mischi le membra de' giovani con quelle de' vecchi, né quelle de'
grassi con quelle de' magri, né le membra leggiadre con le inette; ed oltre
di questo, che tu non faccia a' maschi membra femminili. Per moto s'intende
che le attitudini ovvero movimenti de' vecchi non sieno fatti con quella
medesima vivacità che si converrebbe a quelli de' giovani; né anche i
movimenti d'un piccolo fanciullo sieno fatti come quelli d'un giovane, e
quelli della femmina come quelli del maschio. Nell'edizione romana,
1817, si legge qui in seguito: "facendo che i movimenti e membri d'un
gagliardo sieno tali, che in esse membra dimostrino essa valetudine."
Non far atti che non sieno compagni dell'atteggiatore; cioè all'uomo di
gran valetudine, che i suoi movimenti lo manifestino e cosí l'uomo di poco
valore faccia il simile co' movimenti invalidi e balordi, i quali minaccino
ruina al corpo che li genera.
111. Del fuggire le calunnie de' giudizi varî che hanno gli operatori della pittura.
Se vorrai fuggire i biasimi che danno gli operatori della pittura e tutti
quelli che in diverse parti dell'arte non sono di conforme opinione con loro,
è necessario operare l'arte con diverse maniere, acciocché tu ti conformi in
qualche parte con ciascun giudizio che considera le opere del pittore, delle
quali parti si farà menzione qui sotto.
112. De' movimenti e delle operazioni varie.
Le figure degli uomini abbiano atto proprio alla loro operazione in modo che,
vedendole, tu intenda quello che per loro si pensi o dica; i quali saranno
bene imparati da chi imiterà i moti de' muti, i quali parlano con i movimenti
delle mani, degli occhi, delle ciglia e di tutta la persona, nel voler
esprimere il concetto dell'animo loro; e non ti ridere di me, perché io ti
proponga un precettore senza lingua il quale ti abbia ad insegnar quell'arte
ch'e' non sa fare; perché meglio t'insegnerà egli co' fatti, che tutti gli
altri con parole; e non sprezzare tal consiglio, perché essi sono i maestri
de' movimenti ed intendono da lontano di quel che uno parla, quando egli
accomoda i moti delle mani con le parole. Questa tale considerazione ha molti
nemici e molti difensori. Dunque tu, pittore, attempra dell'una e dell'altra
setta, attendi, secondo che accade, alle qualità di quelli che parlano ed
alla natura della cosa di che si parla.
113. Fuggi i profili, cioè i termini espediti delle cose.
Non fare i termini delle tue figure d'altro colore che del proprio campo, con
che esse figure terminano, cioè che non faccia profili oscuri infra il campo
e la tua figura.
114. Come nelle cose piccole non s'intendono gli errori come nelle grandi.
Nelle cose di minuta forma non si può comprendere la qualità del loro errore
come nelle grandi; e la ragione si è che, se questa cosa piccola sia fatta a
similitudine d'un uomo o d'altro animale, le sue parti per l'immensa
diminuzione non ponno essere ricercate con quel debito fine dal suo
operatore, che si converrebbe: onde non rimane finita, e non essendo finita,
non si possono comprendere i suoi errori. Esempio: riguarderai da lontano un
uomo per lo spazio di trecento braccia, e con diligenza giudicherai se quello
è bello o brutto, s'egli è mostruoso o di comune qualità; vedrai che con
sommo tuo sforzo non ti potrai persuadere a dar tal giudizio; e la ragione si
è che, per la sopradetta distanza, quest'uomo diminuisce tanto, che non si
può comprendere le qualità delle particole. E se vuoi veder bene detta
diminuzione dell'uomo sopradetto, ponti un dito presso all'occhio un palmo, e
tanto alza o abbassa detto dito, che la sua superiore estremità termini sotto
i piedi della figura che tu riguardi, e vedrai apparire un'incredibile
diminuzione; e per questo spesse volte si dubita circa la forma dell'amico da
lontano.
115. Perché la pittura non può mai parere spiccata come le cose naturali.
I pittori spesse volte
cadono in disperazione del loro imitare il naturale, vedendo le loro pitture
non aver quel rilievo e quella vivacità che hanno le cose vedute nello
specchio, allegando aver essi colori che per chiarezza e per oscurità di gran
lunga avanzano la qualità de' lumi ed ombre della cosa veduta nello specchio,
accusando in questo caso la loro ignoranza e non la ragione, perché non la
conoscono. Impossibile è che la cosa dipinta apparisca di tal rilievo, che si
assomigli alla cosa dello specchio, benché l'una e l'altra sia su una
superficie, salvo se fosse veduta con un solo occhio; e la ragione si è che i
due occhi che vedono una cosa dopo l'altra, come ab che vedono mn; n non può
occupare interamente m, perché la base delle linee visuali è sí larga, che
vede il corpo secondo dopo il primo. Ma se chiudi un occhio, come s, il corpo
f occuperà k, perché la linea visuale nasce in un sol punto, e fa base nel
primo corpo; onde il secondo di pari grandezza non sarà visto.
116. Perché i capitoli delle figure l'uno sopra l'altro è opra da fuggire.
Questo universal uso, il quale si fa per i pittori nelle faccie delle
cappelle, è molto da essere ragionevolmente biasimato, imperocché fanno
un'istoria in un piano col suo paese ed edifizi, poi s'alzano un altro grado
e fanno un'istoria, e variano il punto dal primo, e poi la terza e la quarta,
in modo che una facciata si vede fatta con quattro punti, la quale è somma
stoltizia di simili maestri. Noi sappiamo che il punto è posto all'occhio del
riguardatore dell'istoria; e se tu volessi dire: a che modo ho da fare la
vita d'un santo compartita in molte istorie in una medesima faccia?, a questa
parte ti rispondo che tu devi porre il primo piano col punto all'altezza
dell'occhio de' riguardatori d'essa istoria, e sul detto piano figura la
prima istoria grande; e poi diminuendo di mano in mano le figure e casamenti,
in su diversi colli e pianure, farai tutto il fornimento d'essa istoria. Sul
resto della faccia, nella sua altezza, farai alberi grandi a comparazione
delle figure, o angeli, se fossero al proposito dell'istoria, ovvero uccelli,
o nuvoli, o simili cose; altrimenti non te n'impacciare, ché ogni tua opera
sarà falsa.
117. Qual pittura è meglio usare nel far parer le cose spiccate.
Le figure illuminate dal lume particolare sono quelle che mostrano piú
rilievo che quelle che sono illuminate dal lume universale, perché il lume
particolare fa i lumi riflessi, i quali spiccano le figure dai loro campi; le
quali riflessioni nascono dai lumi di una figura che risulta nell'ombra di
quella che le sta davanti e la illumina in parte. Ma la figura posta dinanzi
al lume particolare in luogo grande e oscuro non riceve riflesso, e di questa
non si vede se non la parte illuminata: e questa è solo da essere usata
nell'imitazione della notte, con piccolo lume particolare.
118. Qual è più di discorso ed utilità, o i lumi ed ombre de' corpi, o i loro lineamenti.
I termini de' corpi sono di maggior discorso ed ingegno che le ombre ed i
lumi, per causa che i lineamenti de' membri che sono piegabili, sono
immutabili, e sempre sono quei medesimi, ma i siti, qualità e quantità delle
ombre sono infiniti.
119. Qual è di maggiore importanza, o il movimento creato dagli accidenti diversi degli animali, o le loro ombre e lumi.
La più importante cosa che ne' discorsi della pittura trovar si possa, sono i
movimenti appropriati agli accidenti mentali di ciascun animale, come
desiderio, sprezzamento, ira, pietà e simili.
120. Qual è di più importanza, o che la figura abbondi in bellezza di colori, o in dimostrazioni di gran rilievo.
Solo la pittura si rende (L'edizione di Vienna aggiunge: "cosa
maravigliosa.") ai contemplatori di quella per far parere
rilevato e spiccato dai muri quel che non lo è, ed i colori sol fanno onore
ai maestri che li fanno, perché in loro non si causa altra maraviglia che
bellezza, la quale bellezza non è virtú del pittore, ma di quello che li ha
generati, e può una cosa esser vestita di brutti colori e dar di sé
maraviglia a' suoi contemplanti per parere di rilievo.
121. Qual è più difficile, o le ombre e i lumi, o pure il disegno buono.
Dico essere più difficile quella cosa ch'è costretta a un termine, che quella
ch'è libera. Le ombre hanno i loro termini a certi gradi, e chi n'è
ignorante, le sue cose saranno senza rilievo, il quale rilievo è l'importanza
e l'anima della pittura. Il disegno è libero, imperocché si vedrà infiniti
volti, che tutti saranno varî. E chi avrà il naso lungo, e chi lo avrà corto.
Adunque il pittore può ancora lui pigliare questa libertà, e dov'è libertà
non è regola.
122. Precetti del pittore.
O pittore notomista, guarda che la troppa notizia degli ossi, corde e muscoli
non sieno causa di farti pittore legnoso, col volere che i tuoi ignudi
mostrino tutti i sentimenti loro. Adunque, volendo riparare a questo, vedi in
che modo i muscoli ne' vecchi o magri coprano ovver vestano le loro
ossa.
Ed oltre questo, nota la regola come i medesimi muscoli riempiano gli spazi
superficiali che infra loro s'interpongono, e quali sono i muscoli di che mai
si perde la notizia in alcun grado di grassezza; e quali sono i muscoli de'
quali per ogni minima pinguedine si perde la notizia de' loro contatti; e
molte son le volte che di più muscoli se ne fa un sol muscolo
nell'ingrassare, e molte sono le volte che nel dimagrare o invecchiare di un
sol muscolo se ne fa più muscoli. Di questo tal discorso si dimostrerà a suo
luogo tutte le particolarità loro, e massime negli spazi interposti infra le
giunture di ciascun membro.
Ancora non mancherai della varietà che fanno i predetti muscoli intorno alle
giunture de' membri di qualunque animale, mediante la diversità de' moti di
ciascun membro, perché in alcun lato di esse giunture si perde integralmente
la notizia di essi muscoli per causa dell'accrescimento o mancamento della
carne, della quale tali muscoli sono composti.
123. Memoria che si fa l'autore.
Descrivi quali sieno i muscoli e quali le corde che mediante diversi
movimenti di ciascun membro si scoprano, o si nascondano, o non facciano né
l'uno né l'altro; e ricordati che questa tale azione è importantissima e
necessarissima appresso de' pittori e scultori che fanno professione di
maestri. Il simile farai d'un fanciullo, dalla sua natività insino al tempo
della sua decrepitezza per tutti i gradi della sua età, infanzia, puerizia,
adolescenza e gioventù, ed in tutti descriverai le mutazioni delle membra e
giunture, e quali ingrassino o dimagrino.
124. Precetti di pittura.
Sempre il pittore che vuole aver onore delle sue opere, deve cercare la
prontitudine de' suoi atti negli atti naturali fatti dagli uomini
all'improvviso e nati da potente affezione de' loro affetti, e di quelli far
brevi ricordi ne' suoi libretti, e poi a' suoi propositi adoperarli, col far
stare un uomo in quel medesimo atto, per vedere la qualità e l'aspetto delle
membra che in tal atto si adoprano.
125. Precetti di pittura.
Quella cosa ovvero la figura di quella si dimostrerà con più distinti e
spediti termini, la quale sarà più vicina all'occhio. E per questo tu,
pittore, che sotto il nome di pratico fingi la veduta di una testa veduta da
vicina distanza con pennellate terminate, e tratteggiamenti aspri e crudi,
sappi che tu t'inganni, perché in qualunque distanza tu ti finga la tua
figura, essa è sempre finita in quel grado che essa si trova, ancoraché in
lunga distanza si perda la notizia de' suoi termini. E non manca per questo
che non si veda un finito fumoso, e non termini e profilamenti spediti e
crudi. Adunque è da concludere, che quell'opera alla quale si può avvicinare
l'occhio del suo riguardatore, che tutte le parti di essa pittura sieno
finite ne' suoi gradi con somma diligenza, ed oltre di questo le prime sieno
terminate di termini noti ed espediti dal suo campo, e quelle più distanti
sieno ben finite, ma di termini più fumosi, cioè più confusi, o vuoi dire men
noti; alle piú distanti successivamente osservare quel ch'è detto di sopra,
cioè i termini men noti, e poi le membra, ed in fine il tutto men noto di
figura e di colore.
126. Come fu la prima pittura.
La prima pittura fu sol di una linea, la quale circondava l'ombra dell'uomo
fatta dal sole ne' muri.
127. Come la pittura dev'essere vista da una sola finestra.
La pittura dev'essere vista da una sola finestra, come appare per cagione de'
corpi così fatti: O; se tu vuoi fare in un'altezza una palla rotonda, ti
bisogna farla lunga a questa similitudine, e star tanto indietro ch'essa,
scorciando, apparisca tonda.
128. Delle prime otto parti in che si divide la pittura.
Tenebre, luce, corpo, figura, colore, sito, remozione e propinquità. Si
possono aggiungere a queste due altre, cioè moto e quiete, perché tal cosa è
necessario figurare ne' moti delle cose che si fingono nella pittura.
129. Come la pittura si divide in cinque parti.
Le parti della pittura sono cinque, cioè: superficie, figura, colore, ombra e
lume, propinquità e remozione, o vuoi dire accrescimento e diminuzione, che
sono le due prospettive, come nella diminuzione della quantità e la
diminuzione delle notizie delle cose vedute in lunghe distanze, e quella de'
colori, e qual colore è quello che prima diminuisce in pari distanze, e quel
che piú si mantiene.
130. Delle due parti principali in che si divide la pittura.
Due sono le parti principali nelle quali si divide la pittura, cioè
lineamenti, che circondano le figure de' corpi finti, i quali lineamenti si
dimandano disegni. La seconda è detta ombra. Ma questo disegno è di tanta
eccellenza, che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite piú che quelle
che fa natura. Questo comanda allo scultore di terminare con scienza i suoi
simulacri, ed a tutte le arti manuali, ancora che fossero infinite, insegna
il loro perfetto fine. E per questo concluderemo non solamente esser scienza,
ma una deità essere con debito nome ricordata, la qual deità ripete tutte le
opere evidenti fatte dal sommo Iddio.
TRATTATO DELLA PITTURA
di
LEONARDO DA VINCI
(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)
Primo volume
PARTE SECONDA
Capitoli da 131 a 200
131. Della pittura lineale.
Siano con somma diligenza considerati i termini di qualunque corpo, ed il modo
del lor serpeggiare, le quali serpeggiature sia giudicato se le sue volte
partecipano di curvità circolare o di concavità angolare.
132. Della pittura, cioè delle ombre.
Le ombre, le quali tu discerni con difficoltà ed i loro termini non puoi
conoscere, anzi, con confuso giudizio le pigli e trasferisci nella tua opera,
non le farai finite, ovvero terminate, sicché la tua opera sarà di
legnosa (Nell'edizione romana, 1817, alla parola "legnosa" è
sostituito: "ingegnosa.") risultazione.
133. Delle parti e qualità della pittura.
La prima parte della pittura è che i corpi con quella figurati si dimostrino
rilevati e che i campi di essi circondatori con le loro distanze si dimostrino
entrare dentro alla parete, dove tal pittura è generata, mediante le tre
prospettive, cioè diminuzione delle figure de' corpi, diminuzione delle
magnitudini loro e diminuzione de' loro colori. E di queste tre prospettive la
prima ha origine dall'occhio, le altre due hanno derivazione dall'aria
interposta infra l'occhio e gli obietti da esso occhio veduti. La seconda parte
della pittura sono gli atti appropriati e variati nelle stature, sí che gli
uomini non paiano fratelli.
134. Della elezione de' bei visi.
Parmi non piccola grazia quella di quel pittore, il quale fa buone arie alle
sue figure. La qual grazia chi non l'ha per natura la può pigliare per
accidentale studio in questa forma. Guarda a tôrre le parti buone di molti visi
belli, le quali belle parti sieno conformi piú per pubblica fama che per tuo
giudizio; perché ti potresti ingannare togliendo visi che avessero conformità
col tuo; perché spesso pare che simili conformità ci piacciano, e se tu fossi
brutto eleggeresti visi non belli, e faresti brutti visi, come molti pittori,
ché spesso le figure somigliano al maestro; sicché piglia le bellezze, come ti
dico, e quelle metti in mente.
135. Della elezione dell'aria, che dà grazia ai volti.
Se avrai una corte da poter coprire a tua posta con tenda lina, questo lume
sarà buono; ovvero quando vuoi ritrarre uno, ritrailo a cattivo tempo, sul far
della sera, facendo stare il ritratto con la schiena accosto a uno de' muri di
essa corte. Pon mente per le strade sul fare della sera ai visi di uomini e di
donne, quando è cattivo tempo, quanta grazia e dolcezza si vede in essi.
Adunque tu, pittore, avrai una corte accomodata co' muri tinti di nero con
alquanto sporto di tetto sopra esso muro, e sia larga braccia dieci e lunga
venti, ed alta dieci; e quando non la copri con tenda, sia sul far della sera
per ritrarre un'opera, e quando è o nuvolo, o nebbia; e questa è perfetta aria.
136. Delle bellezze e bruttezze.
Le bellezze con le bruttezze paiono più potenti l'una per l'altra.
137. Delle bellezze.
Le bellezze de' volti possono essere in diverse persone di pari bontà, ma non
mai simili in figura, anzi saranno di tante varietà quant'è il numero a cui
quelle sono congiunte.
138. De' giudicatori di varie bellezze in varî corpi, e di pari eccellenza.
Ancoraché in varî corpi siano varie bellezze e di grazia eguali, i varî giudici
di pari intelligenza le giudicheranno di gran varietà infra loro esservi tra
l'una e l'altra delle loro elezioni.
139. Come si debbono figurare i putti.
I putti piccoli si debbono figurare con atti pronti e storti quando seggono, e
nello star ritti con atti timidi e paurosi.
140. Come si debbono figurare i vecchi.
I vecchi debbono esser fatti con pigri e lenti movimenti, e le gambe piegate
nelle ginocchia quando stanno fermi, e i piedi pari e distanti l'un dall'altro;
sieno declinati in basso, la testa innanzi chinata e le braccia non troppo
distese.
141. Come si debbono figurare le donne.
Le donne si debbono figurare con atti vergognosi, le gambe insieme strette, le
braccia raccolte insieme, teste basse e piegate in traverso.
142. Come si debbono figurare le vecchie.
Le vecchie si debbono figurare ardite e pronte, con rabbiosi movimenti, a guisa
di furie infernali, ed i movimenti debbono parere piú pronti nelle braccia e
teste che nelle gambe.
143. Come si deve figurare una notte.
Quella cosa che è priva interamente di luce è tutta tenebre: essendo la notte
in simile condizione, se tu vi vorrai figurare un'istoria, farai che, essendovi
un gran fuoco, quella cosa che è più propinqua a detto fuoco più si tinga nel
suo colore, perché quella che è più vicina all'obietto, più partecipa della sua
natura; e facendo il fuoco pendere in color rosso, farai tutte le cose
illuminate da quello anch'esse rosseggiare, e quelle che son più lontane da
detto fuoco, più sieno tinte del color nero della notte. Le figure che son
fatte innanzi al fuoco appariscano scure nella chiarezza d'esso fuoco, perché
quella parte d'essa cosa che vedi è tinta dall'oscurità della notte e non dalla
chiarezza del fuoco: e quelle che si trovano dai lati, sieno mezze scure e
mezze rosseggianti: e quelle che si possono vedere dopo i termini delle fiamme,
saranno tutte illuminate di rosseggiante lume in campo nero. In quanto agli
atti, farai le figure che sono appresso farsi scudo con le mani e con i
mantelli a riparo del soverchio calore, e, volte col viso in contraria parte,
mostrar di fuggire: quelle più lontane, farai gran parte di loro farsi con le
mani riparo agli occhi offesi dal soverchio splendore.
144. Come si deve figurare una fortuna.
Se tu vuoi figurar bene una fortuna, considera e poni bene i suoi effetti,
quando il vento, soffiando sopra la superficie del mare o della terra, rimove e
porta seco quelle cose che non sono ferme con la universale massa. E per ben
figurare questa fortuna, farai prima i nuvoli spezzati e rotti drizzarsi per il
corso del vento, accompagnati dall'arenosa polvere levata da' lidi marini: e
rami e foglie, levati per la potenza del furore del vento, sparsi per l'aria ed
in compagnia di molte altre leggiere cose: gli alberi e le erbe, piegati a
terra, quasi mostrar di voler seguire il corso de' venti, con i rami storti
fuor del naturale corso e con le scompigliate e rovesciate foglie: e gli
uomini, che lí si trovano, parte caduti e rivolti per i panni e per la polvere,
quasi sieno sconosciuti, e quelli che restano ritti sieno dopo qualche albero,
abbracciati a quello, perché il vento non li strascini; altri con le mani agli
occhi per la polvere, chinati a terra, ed i panni ed i capelli dritti al corso
del vento. Il mare turbato e tempestoso sia pieno di ritrosa spuma infra le
elevate onde, ed il vento faccia levare infra la combattuta aria della spuma
più sottile, a uso di spessa ed avviluppata nebbia. I navigli che dentro vi
sono, alcuni se ne faccia con la vela rotta, ed i brani d'essa ventilando infra
l'aria in compagnia d'alcuna corda rotta; alcuni alberi rotti caduti col
naviglio attraversato e rotto infra le tempestose onde; ed uomini, gridando,
abbracciare il rimanente del naviglio. Farai i nuvoli cacciati dagli impetuosi
venti, battuti nelle alte cime delle montagne, e fra quelli avviluppati e
ritrosi a similitudine delle onde percosse negli scogli; l'aria spaventosa per
le scure tenebre fatte nell'aria dalla polvere, nebbia e nuvoli folti.
145. Come si deve figurare una battaglia.
Farai prima il fumo dell'artiglieria mischiato infra l'aria insieme con la
polvere mossa dal movimento de' cavalli de' combattitori; la qual mistione
userai cosí: la polvere, perché è cosa terrestre e ponderosa, e benché per la
sua sottilità facilmente si levi e mischi infra l'aria, nientedimeno volentieri
ritorna in basso, ed il suo sommo montare è fatto dalla parte più sottile;
adunque il meno sarà veduta, e parrà quasi del color dell'aria. Il fumo che si
mischia infra l'aria polverata, quando più s'alza a certa altezza, parrà oscure
nuvole, e vedrassi nelle sommità più espeditamente il fumo che la polvere. Il
fumo penderà in colore alquanto azzurro, e la polvere trarrà al suo colore.
Dalla parte che viene il lume parrà questa mistione d'aria, fumo e polvere
molto più lucida che dalla opposita parte. I combattitori, quanto piú saranno
infra detta turbolenza, tanto meno si vedranno, e meno differenza sarà da' loro
lumi alle loro ombre. Farai rosseggiare i visi e le persone e l'aria vicina
agli archibusieri insieme co' loro vicini; e detto rossore quanto più si parte
dalla sua cagione, più si perda; e le figure che sono infra te ed il lume,
essendo lontane, parranno scure in campo chiaro, e le lor gambe, quanto più
s'appresseranno alla terra, meno saranno vedute; perché la polvere è lí più
grossa e spessa. E se farai cavalli correnti fuori della turba, fa i nuvoletti di polvere distanti l'uno dall'altro quanto può esser
l'intervallo per salti fatti dal cavallo; e quel nuvolo che è più lontano da
detto cavallo meno si veda, anzi sia alto, sparso e raro, ed il più presso sia
il più evidente e minore e più denso. L'aria sia piena di saettume di diverse
ragioni; chi monti, chi discenda, qual sia per linea piana; e le pallottole
degli schioppettieri sieno accompagnate d'alquanto fumo dietro ai loro corsi. E
le prime figure farai polverose ne' capelli e ciglia ed altri luoghi piani,
atti a sostenere la polvere. Farai vincitori correnti con capelli e altre cose
leggiere sparse al vento, con le ciglia basse, e caccino contrarie membra
innanzi, cioè se manderanno innanzi il piè destro, che il braccio manco ancor
esso venga innanzi; e se farai alcuno caduto, gli farai il segno dello sdrucciolare
su per la polvere condotta in sanguinoso fango; ed intorno alla mediocre
liquidezza della terra farai vedere stampate le pedate degli uomini e de'
cavalli di lí passati. Farai alcuni cavalli strascinar morto il loro signore, e
di dietro a quello lasciare per la polvere ed il fango il segno dello
strascinato corpo. Farai i vinti e battuti pallidi, con le ciglia alte nella
loro congiunzione, e la carne che resta sopra di loro sia abbondante di dolenti
crespe. Le faccie del naso sieno con alquante grinze partite in arco dalle
narici, e terminate nel principio dell'occhio. Le narici alte, cagione di dette
pieghe, e le labbra arcuate scoprano i denti di sopra. I denti spartiti in modo
di gridare con lamento.
Una delle mani faccia scudo ai paurosi occhi, voltando il di dentro verso il
nemico, l'altra stia a terra a sostenere il levato busto. Altri farai gridanti
con la bocca sbarrata, e fuggenti. Farai molte sorte d'armi infra i piedi de'
combattitori, come scudi rotti, lance, spade rotte ed altre simili cose. Farai
uomini morti, alcuni ricoperti mezzi dalla polvere, ed altri tutti. La polvere
che si mischia con l'uscito sangue convertirsi in rosso fango, e vedere il
sangue del suo colore correre con torto corso dal corpo alla polvere. Altri
morendo stringere i denti, stravolgere gli occhi, stringer le pugna alla
persona, e le gambe storte. Potrebbesi vedere alcuno, disarmato ed abbattuto
dal nemico, volgersi a detto nemico e con morsi e graffi far crudele ed aspra
vendetta. Potriasi vedere alcun cavallo leggiero correre con i crini sparsi al
vento fra i nemici e con i piedi far molto danno, e vedersi alcuno stroppiato
cadere in terra, farsi coperchio col suo scudo, ed il nemico chinato in basso
far forza per dargli morte. Potrebbersi vedere molti uomini caduti in un gruppo
sopra un cavallo morto.
Vedransi alcuni vincitori lasciare il combattere, ed uscire della moltitudine,
nettandosi con le mani gli occhi e le guance ricoperti di fango fatto dal
lacrimar degli occhi per causa della polvere.
Vedransi le squadre del soccorso star piene di speranza e di sospetto, con le
ciglia aguzze, facendo a quelle ombra con le mani, e riguardare infra la folta
e confusa caligine per essere attente al comandamento del capitano; il quale
potrai fare col bastone levato, e corrente inverso il soccorso mostrandogli la
parte dov'è bisogno di esso. Ed alcun fiume, dentrovi cavalli correnti,
riempiendo la circostante acqua di turbolenza d'onde, di schiuma e d'acqua
confusa saltante inverso l'aria, e tra le gambe e i corpi de' cavalli. E non
far nessun luogo piano senza le pedate ripiene di sangue.
146. Del modo di condurre in pittura le cose lontane.
Chiaro si vede essere un'aria grossa più che le altre, la quale confina con la terra piana; e quanto più si leva in alto, più è sottile e trasparente. Le cose elevate e grandi che saranno da te lontane, la lor bassezza poco sarà veduta, perché la vedi per una linea che passa infra l'aria più grossa continuata. La sommità di dette altezze si trova essere veduta per una linea, la quale, benché dal canto dell'occhio tuo si causi nell'aria grossa, nondimeno, terminando nella somma altezza della cosa vista, viene a terminare in aria molto più sottile che non fa la sua bassezza; e per questa ragione questa linea, quanto più si allontana da te di punto in punto, sempre muta qualità di sottile in sottile aria. Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze; e quanto le fai più lontane l'una dall'altra, fa le bassezze più chiare, e quanto più si leveranno in alto, più mostreranno la verità della forma e del colore.
147. Come l'aria si deve far più chiara quanto più la fai finire bassa.
Perché quest'aria è grossa presso alla terra, e quanto più si leva e più
s'assottiglia, quando il sole è per levante riguarderai il ponente,
partecipante di mezzodì e tramontana, e vedrai quell'aria grossa ricevere più
lume dal sole che la sottile, perché i raggi trovano più resistenza. E se il
cielo alla vista tua terminerà con la bassa pianura quella parte ultima del
cielo sarà veduta per quell'aria più grossa e più bianca, la quale corromperà
la verità del colore che si vedrà per suo mezzo, e parrà lì il cielo più bianco
che sopra te, perché la linea visuale passa per meno quantità d'aria corrotta
da grossi umori. E se riguarderai inverso levante, l'aria ti parrà più scura
quanto più s'abbassa, perché in dett'aria bassa i raggi luminosi meno passano.
148. A fare che le figure spicchino dal loro campo.
Le figure di qualunque corpo più parranno rilevate e spiccate da' loro campi,
delle quali essi campi saranno di color chiari o scuri, con più varietà che sia
possibile ne' confini delle predette figure, come sarà dimostrato al suo luogo,
e che in detti colori sia osservata la diminuzione di chiarezza ne' bianchi, e
di oscurità ne' colori scuri.
149. Del figurare le grandezze delle cose dipinte.
Nella figurazione delle grandezze che hanno naturalmente le cose anteposte all'occhio, si debbono figurare tanto finite le prime figure, essendo piccole, come le opere de' miniatori, come le grandi de' pittori: ma le piccole de' miniatori debbono esser vedute d'appresso, e quelle del pittore da lontano; così facendo esse figure vengono all'occhio con egual grandezza; e questo nasce perché esse vengono con egual grossezza d'angolo. Provasi, e sia l'obbietto bc, e l'occhio sia a; e de sia una tavola di vetro per la quale penetrino le specie del bc. Dico che stando fermo l'occhio a, la grandezza della pittura fatta per l'imitazione di esso bc, deve essere di tanto minor figura, quanto il vetro de sarà più vicino all'occhio a, e deve essere egualmente finita. E se tu fingerai essa figura bc nel vetro de, la tua figura deve essere meno finita che la figura bc, e più finita che la figura mn, fatta sul vetro fg, perché se po figura fosse finita come la naturale bc, la prospettiva d'esso op sarebbe falsa, perché, in quanto alla diminuzione della figura, essa starebbe bene, essendo bc diminuito in po; ma il finito non si accorderebbe con la distanza, perché nel ricercare la perfezione del finito del naturale bc, allora esso bc parrebbe nella vicinità op; ma se tu vorrai ricercare la diminuzione di op, esso op pare essere nella distanza bc, e nel diminuire del finito al vetro fg.